Secondo l’ultimo rapporto Esma i costi di gestione dei fondi domiciliati in Italia sono i più onerosi per le categorie degli azionari e degli obbligazionari
L’attenzione dei risparmiatori sui costi dei fondi è cresciuta molto negli ultimi anni. Nella realtà statunitense, aveva
mostrato un’analisi Morningstar, l’affermazione degli strumenti low cost a gestione passiva ha esercitato una pressione al ribasso sugli oneri di gestione in tutto il settore.
In Italia, tuttavia, i costi di gestione dei fondi rimangono fra i più elevati d’Europa. Secondo i risultati del rapporto pubblicato quest’anno dall’Agenzia europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma), nel 2019 i costi più elevati si sono osservati “in Austria, Belgio, Irlanda, Italia e Lussemburgo”. I più bassi, invece, in “Danimarca, Svezia e Paesi Bassi”.
I costi giocano un ruolo importante nella determinazione finale della performance dell’investimento. La Consob, nella sua ultima analisi sui costi dei fondi comuni in Italia pubblicata nel 2018, aveva sottolineato come
“il peso sugli utili prodotti dai fondi” fosse “cresciuto dal 16 al 51%” dal 2012 al 2016. Nella gran parte dei casi, comunque, costi più elevati non si associano a un miglior rendimento del fondo: anzi, di solito avviene il contrario.
E’ opportuno precisare che i dati sui costi dei fondi all’interno dei vari Paesi Ue non sono direttamente comparabili. Ad esempio, la Consob aveva sottolineato come i fondi azionari di diritto italiano, pur avendo costi di gestione più elevati della media, presentino inferiori costi d’ingresso. La stessa Esma ha poi affermato che “il trattamento dei costi e le differenze nella loro classificazione tra gli Stati membri sono un fattore significativo nell’eterogeneità identificata paese per paese”. Pur con le dovute premesse, l’onerosità dei fondi italiani appare evidente.
Secondo gli ultimi dati raccolti dall’Esma, i costi di gestione dei fondi azionari domiciliati in Italia per gli investitori al dettaglio sono nettamente i più elevati d’Europa, con un prelievo medio vicino al 2%. Per quanto riguarda i fondi obbligazionari, la Penisola condivide il gradino più alto del podio con l’Irlanda, con commissioni di gestione vicine all’1%. A questi maggiori costi non si sono accompagnate performance più elevate, perlomeno nel periodo 2012-2019.
Quali sono le cause dell’onerosità dei fondi in Italia? La risposta non si limita ai soli costi di gestione. “L’investitore al dettaglio italiano paga tre, talvolta quattro, livelli di commissioni”, ha affermato a We Wealth Giacomo Rossi, partner e head of wealth management di Euclidea, una società di intermediazione mobiliare particolarmente attenta al contenimento dei costi che gravano sui clienti. “Una prima commissione di gestione è quella interna al fondo, che dovrebbe comprendere anche il costo della consulenza remunerata al distributore del fondo”, ha detto Rossi; in più, l’investitore italiano “paga costi di distribuzione sotto forma di commissioni di sottoscrizione dei fondi in cui investe e di rimborso quando riscatta parte o tutta la somma investita. Infine, quando presenti sono da aggiungere le commissioni di performance”.
I costi della distribuzione sono uno dei temi più spinosi in Italia, dal momento che la gran parte dei consulenti finanziari viene retribuita tramite un meccanismo di incentivi sul collocamento di determinati prodotti. In altre parole, non è il cliente a mettere mano al portafoglio per pagare direttamente il professionista. Di conseguenza, una quota consistente dei risparmiatori italiani ritiene che i servizi di consulenza ricevuti siano gratuiti, anche se il pagamento avviene sotto forma di commissioni sui prodotti finanziari venduti. Sempre secondo il già citato studio Consob (riferito al 2016), infatti, “il 70% delle commissioni riconosciute alle società di gestione del risparmio è assorbito dai costi di distribuzione”.
Questo modello ha qualcosa a che fare con i costi mediamente elevati dei fondi italiani? “Credo proprio di sì, dal momento che collocare i fondi più remunerativi”, ossia quelli più costosi per il cliente, “è una regola non scritta che viene adottata dalla maggior parte delle reti distributive”, ha affermato il partner di Euclidea, aggiungendo che questo è un “conflitto d’interesse” che il cliente paga sotto forma di “portafogli con meno qualità e più costi”.
La direttiva europea Mifid II, entrata in vigore a inizio 2018, vedeva proprio nella trasparenza sui costi dei prodotti finanziari una delle sue missioni principali. La maggiore chiarezza, per ora, non si è tradotta in una decisa riduzione dei costi, che per l’Esma è stata solo “marginale” nel 2019. Per quanto riguarda l’Italia, Euclidea Sim è convinta che i costi siano rimasti sostanzialmente invariati: “Nelle centinaia di portafogli da noi analizzati riscontriamo praticamente sempre lo stesso ‘salasso’ per l’investitore italiano”.
Secondo l’ultimo rapporto Esma i costi di gestione dei fondi domiciliati in Italia sono i più onerosi per le categorie degli azionari e degli obbligazionari
L’attenzione dei risparmiatori sui costi dei fondi è cresciuta molto negli ultimi anni. Nella realtà statunitense, aveva mostrato un’analisi…