Le convivenze avvenute e terminate prima della regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, grazie alla legge del 2016, non beneficiano del diritto alla pensione di reversibilità
Per maturare il diritto alla reversibilità è necessaria la formale dichiarazione di volontà di entrambe le parti e non è sufficiente la convivenza di fatto, pur se stabile e protratta per lungo tempo
La mera convivenza, anche se lunga e protratta nel tempo, non è sufficiente a far scattare alcuna prestazione previdenziale e, come ha ritenuto la Corte di Cassazione, nella recente ordinanza n. 8241 del 2022, non ha carattere discriminatorio la normativa italiana nella parte in cui non prevede il diritto alla pensione di reversibilità in favore del partner superstite dello stesso sesso in presenza di una relazione affettiva stabile ed equivalente a quella del coniuge.
Ad avviso delle più recenti pronunce dei giudici di legittimità, per poter godere della pensione di reversibilità è necessaria la dichiarazione di volontà di entrambe le parti e non è sufficiente la convivenza di fatto.
Alle parti che compongono la coppia stretta in unione civile, infatti, si applicheranno le disposizioni di leggi, di regolamenti, di atti amministrativi o di contratti collettivi che si riferiscono al matrimonio. Per questa ragione, ai superstiti delle coppie unite civilmente, a differenza di quanto previsto per le coppie di fatto, spetta il 60% della pensione del defunto, fatte salve eventuali riduzioni legate al possesso di redditi.
È il caso di ricordare, infine, che la pensione di reversibilità consiste in un trattamento pensionistico che si attiva in caso di decesso del pensionato a favore del coniuge superstite o dell’unito civilmente o, a certe condizioni, al coniuge divorziato se titolare dell’assegno civile e se non passato a nuove nozze. La reversibilità rientra nel novero dei diritti e doveri di assistenza e solidarietà delle relazioni affettive di coppia, tutelata dall’articolo 2 della Costituzione.