La exit tax è una tassa una tantum dovuta allo Stato quando il trasferimento della sede all’estero di un’impresa residente in Italia comporta anche la perdita della residenza fiscale
Il regime della Participation Exemption consente di rendere parzialmente irrilevanti dal punto di vista fiscale le plusvalenze maturate come conseguenza della cessione di partecipazioni
E invero, prima di soffermarsi sul valore dell’accordo transattivo, occorre porre l’attenzione sulla vicenda Exor-fisco, che può essere semplificata prendendo in considerazione due diversi momenti, tra loro collegati. Uno risalente al 2016 e l’altro al 2021.
Nel 2016, l’italiana Exor Spa si fondeva con la controllata Exor Holding N.V. dando vita all’attuale Exor N.V., holding finanziaria del Gruppo Fiat con domicilio olandese. Questa operazione di fusione transazionale per incorporazione veniva effettuata anche beneficiando della Participation Exemption (Pex), vale a dire fruendo di un regime che consente di rendere parzialmente irrilevanti dal punto di vista fiscale – dunque di escludere dal reddito imponibile (nella misura del 95%) – le plusvalenze realizzate come conseguenza della cessione di partecipazioni.
Nel 2021, l’Agenzia delle entrate pubblicava il “Principio giuridico 10/2021” documento con il quale, in segno opposto a quanto fatto nel 2016 dal Gruppo Fiat, riteneva non applicabile il regime Pex nei casi in cui – proprio come nella vicenda Exor – una holding trasferisce il proprio domicilio fiscale all’estero senza mantenere una stabile organizzazione in Italia.
Ebbene, è evidente che la questione che vede coinvolta Exor e che ha spinto quest’ultima a optare per un accordo transattivo con il fisco ha a che fare con la cd. exit tax, vale a dire la tassa di espatrio richiesta alle società (o persone fisiche) che cessano di essere residenti in un determinato paese.
L’exit tax è una tassa che lo Stato pretende a titolo di compenso, una tantum, da quelle società che dopo essere cresciute anche grazie alle normative italiane, decidono, più o meno strumentalmente, dunque per godere talvolta di determinati vantaggi fiscali, di trasferire all’estero la propria residenza.
Ma la questione di Exor non è l’unica che la famiglia Agnelli ha dovuto affrontare in quest’ultimo periodo. A chiudere un accordo con l’amministrazione finanziaria italiana è stata anche la società Giovanni Agnelli Bv, anche questa con domicilio olandese.
In conclusione, se si considera l’esborso sostenuto per chiudere ogni possibile vertenza con Exor e quello corrisposto per definire la pendenza con Giovanni Agnelli Bv, si rileva come la dinastia torinese abbia staccato un assegno pari a 949 milioni di euro.