Il tutto parte perché l’Agenzia delle entrate dopo aver rideterminato il reddito imponibile, relativo al periodo di imposta 2003 ha invia un avviso di accertamento alla società che aveva dichiarato somme inferiori, compiendo operazioni definite elusive
E dunque nel caso di comportamenti elusivi le sanzioni sono sempre dovute a seguito di un accertamento fatto dall’Agenzia delle entrate che ha provato il fatto che il contribuente ha indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato in un secondo momento
L’Agenzia delle entrate dopo aver rideterminato il reddito imponibile, relativo al periodo di imposta 2003 ha invia un avviso di accertamento alla società che aveva dichiarato somme inferiori, compiendo operazioni definite elusive. Il soggetto in questione ha impugnato il ricorso e la commissione tributaria l’ha accolto, confermando l’avviso di accertamento ad eccezioni delle sanzioni. A seguito di questa decisione l’Agenzia delle entrate ha impugnato il tutto dinanzi alla Cassazione.
Le norme anti elusione fiscale
Per trovare i riferimenti legislativi sull’elusione fiscale si deve andare all’articolo 37 del Dpr n.600/1973, dove il legislatore ha introdotto una clausola antielusiva nell’ambito dell’accertamento delle imposte sui redditi.
La norma decretava il fatto che non ci si poteva opporre all’Agenzia delle entrate se:
- I fatti sono privi di valide ragioni economiche
- Se sono diretti ad aggirare gli obblighi o i divieti previsti dall’ordinamento tributario
- Se sono volti ad ottenere un vantaggio fiscale indebito
La norma antielusiva ha poi visto l’introduzione dell’articolo 10-biss dello statuto dei diritti del contribuente.
La decisione
La decisione presa dalla Cassazione è di fondamentale importanza, perché in linea di principio l’elusione fisale non vede una pena penale, ma solo l’applicazione di sanzioni amministrative e tributarie se ci sono i presupposti. Ma veniamo alla decisione dei giudici. Questi hanno deciso che: “in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che trova fondamento nell’art. 37 bis del Dpr. n. 600 del 1973, secondo il quale l’Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 471 del 1997, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l’applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell’esito dell’accertamento volto a contrastare il fenomeno dell’abuso del diritto”.
E dunque nel caso di comportamenti elusivi le sanzioni sono sempre dovute a seguito di un accertamento fatto dall’Agenzia delle entrate che ha provato il fatto che il contribuente ha indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato in un secondo momento.