Quartz, sito di informazione economica finanziaria, ha fatto il punto su come la Global Tax impatterebbe sull’Irlanda, Paese in cui negli ultimi anni le multinazionali hanno spostato la sede legale per pagare meno tasse
Nel 2015 dei 616 miliardi di dollari di profitti aziendali spostati nei paradisi fiscali nel 2015, 106 miliardi di dollari sono affluiti in Irlanda
L’OCSE stima che grazie alla nuova tassa i paesi potranno raccogliere almeno 50-80 miliardi di dollari all’anno di entrate fiscali
Irlanda: il paradiso fiscale più grande al mondo
E sarebbe strano il contrario. L’Irlanda infatti è considerato da alcuni il paradiso fiscale più grande al mondo. Tra questi c’è l’economista Gabriel Zucman, che ha scoperto che dei 616 miliardi di dollari di profitti aziendali spostati nei paradisi fiscali nel 2015, 106 miliardi di dollari sono affluiti sull’isola di smeraldo. Il motivo dell’interesse delle multinazionali per l’Irlanda è semplice. È infatti dagli anni novanta che nelle casse irlandesi entra solo il 12,5% dei profitti aziendali, livello di aliquota tra i più bassi tra quelli delle altre economie sviluppate, con l’obiettivo di incoraggiare le multinazionali a investire nel paese. A ciò si aggiungono una serie di meccanismi fiscali che permettono alle imprese di evitare di pagare del tutto l’imposta sulle società, riallocando i loro profitti in territori a tassa zero come le Bermuda.
L’impatto della Global tax sull’Irlanda
Il piano fiscale del G7 poggia su due pilastri che permetterebbero di recuperare una parte di queste tasse eluse. Il primo prevede che un paese possa tassare la multinazionale, qualora i profitti di questa derivino dai suoi residenti, con la società che non potrà sostenere che tali profitti sono in realtà maturati in un altro paese. La seconda misura assicura che anche se, ad esempio, una società britannica registra i suoi profitti in Irlanda e paga un’aliquota del 12,5% di imposta sulle società, il Regno Unito possa prelevare il restante 2,5% per portare l’aliquota effettiva della società al 15% concordato. Con questi pilastri, l’OCSE stima che i paesi potranno raccogliere almeno 50-80 miliardi di dollari all’anno di entrate fiscali.
Opportunità o corsa al ribasso?
L’Irlanda, che rifiuta la sua etichetta di “paradiso fiscale”, ha forse qualche ragione per sentirsi offesa. Non è un vero e proprio paradiso a zero tasse come le Bermuda e le sue norme fiscali sono probabilmente orientate ad acquisire un genuino vantaggio competitivo. Cosi facendo attira sulle sue coste aziende che altrimenti non sarebbero mai arrivate, portando con loro posti di lavoro e denaro. Quasi 180.000 persone lavorano per aziende statunitensi in Irlanda. Appena 10 aziende, tra cui giganti come Apple e Intel, hanno pagato circa 7,2 miliardi di dollari in tasse societarie nel 2020 – la metà delle entrate fiscali aziendali irlandesi di quell’anno.D’altronde negli stessi Stati Uniti, gli stati federali si contendono il business in modo molto simile. Ironicamente, uno degli stati americani che con quest’obiettivo ha tasse più basse è il Delaware, lo stato che Biden chiama casa.
Tuttavia, secondo George Dibb, direttore del Centro per la Giustizia Economica presso l’Istituto per la Ricerca sulle Politiche Pubbliche, un think tank progressista di Londra, intevistato da Quartz, è dell’avviso che i paradisi fiscali hanno provocato quella che egli descrive come una generale “corsa al ribasso”, in cui tutti – anche gli irlandesi del mondo – alla lunga perdono. Un’aliquota fiscale effettiva più alta invece innescherebbe il contrario: una corsa al vertice, in cui i paesi competono realmente sui servizi che possono fornire e sono incentivati ad innovarsi.