L’inventario deve essere il più possibile completo. Costantemente aggiornato, non si deve limitare a raccogliere la descrizione delle opere, ma deve includere tutte le possibili informazioni collegate
Il primo passo per gestire una collezione d’arte: l’inventario
Conoscere ciò che si possiede è la via maestra per la valorizzazione del proprio patrimonio, anche se si parla di opere d’arte. E la gestione ottimale di una collezione d’arte non può prescindere da un inventario. «E’ questo il primo passo da compiere», osserva Clarice Pecori Giraldi, art collection manager indipendente. L’inventario deve essere il più possibile completo. Costantemente aggiornato, non si deve limitare a raccogliere la descrizione delle opere, ma «deve includere tutte le possibili informazioni collegate: provenienza, eventuali tracce dei passaggi di proprietà, e – elemento di estrema importanza – conferma aggiornata dell’attribuzione dell’autenticità dell’opera. Giusto per fare un esempio: Piero Dorazio sta curando il catalogo generale delle sue opere. Chi ne possiede una dovrebbe aver cura di farla iscrivere al suo interno. Anche se si ha già un’autentica dell’artista stesso».
Clarice Pecori Giraldi
Rientrano nell’inventario «anche l’analisi dello stato di conservazione delle opere (nel caso dei dipinti va continuamente monitorata), fatture, certificati, provenienze, bibliografie. È poi estremamente importante verificare lo stato legale dell’opera: se ne riescono a provare il possesso e la proprietà?». Vale anche la pena di chiedersi se l’opera possiede una licenza d’esportazione; e se, in caso negativo, è opportuno richiederla. «Personalmente suggerisco un database digitale, ma ciò non toglie che si possa anche tenerne uno cartaceo».
Differenze fra collezionismo attivo e passivo
Vi è poi una importante differenza fra collezionismo attivo e passivo. Per collezionista attivo si intende colui che in prima persona studia, acquista le opere e consolida la collezione, dandole anima e connotazione. «Per costui è agevole tenere un inventario e mantenerlo aggiornato». Il collezionista passivo invece è colui che si trova a ereditare o a essere donatario di una collezione (o anche di una singola opera). A quest’ultimo spetta il lavoro di scouting, ovvero capire a quale professionista affidarsi per creare l’inventario: il passaggio della collezione non si risolve infatti nel solo trasferimento degli oggetti che la compongono. «Soprattutto in caso di passaggio generazionale, può accadere che un inventario puntale non esista. Piuttosto, può accadere di trovarsi davanti a un cassetto pieno di documenti».
Uno strumento di valenza generale
Questo approccio è utile per tutte le tipologie di beni da collezione? «Si, assolutamente. Vale per l’arte moderna e antica, in quanto ci sono sempre nuove pubblicazioni e archivi, e le attribuzioni possono cambiare. Ma non solo: vale per gli orologi, i gioielli, in generale per tutti i pleasure asset. Per esempio, i certificati odierni delle pietre preziose sono diversi rispetto a quelli in vigore 30 anni fa: vanno rinnovati». Adottare questo approccio all’attività di gestione è importante – forse ancora di più – anche se non si vuol vendere. Serve anche per la gestione quotidiana dei propri beni: ha senso mettere un antifurto, tenere i gioielli nella cassaforte di casa anziché altrove? Possedere una collezione vuol dire averne cura: un atteggiamento che pagherà quando sarà il momento di pensare al passaggio generazionale e che permette un godimento più sereno del presente.