Se è vero – come è vero – che la natura in quanto tale è responsabile per oltre la metà della ricchezza prodotta sul pianeta, stupisce che la natura come asset non sia fra quelli in voga sui mercati finanziari. Costituisce però una grande opportunità per il wealth management più evoluto, come ha illustrato a We Wealth Nathalie Chanteclair, sustainability expert di Lombard Odier.
Perché la natura è un asset dal punto di vista del wealth management?
“La natura fornisce servizi ecosistemici essenziali come cibo, acqua, materiali, ma anche regolazione del clima, impollinazione e rigenerazione del suolo. Un rapporto di PwC stima che il 55% del pil globale dipenda in misura moderata o elevata dalla natura. Tuttavia, né questi servizi né la svalutazione del capitale naturale dovuta alle attività umane sono attualmente valorizzati nei mercati finanziari. Per assegnare un valore finanziario ad un asset ecosistemico (terreni agricoli, bacini idrografici, foreste) è necessario valutare il valore economico dei servizi che fornisce. Per illustrare questo aspetto, immaginiamo un terreno in cui si pratica un’agricoltura intensiva”.
Può fornirci un esempio di natura come asset da portafoglio?
“Nel corso del tempo, la resa delle colture probabilmente diminuirà a causa dell’esaurimento delle risorse idriche, del degrado del suolo, della perdita di nutrienti e di microrganismi benefici, oltre ad altri fattori di questo tipo. Ciò significa che anche il flusso di entrare da quella terra diminuirà, il che si traduce in un deprezzamento del suo valore. È un discorso simile a quello del settore immobiliare: se si acquista un appartamento per affittarlo ma non lo si ristruttura mai, in futuro non si riuscirà a mantenere l’affitto richiesto oggi”.
“Tornando al terreno: se gli investitori acquistano un bene con un ecosistema degradato e implementano soluzioni basate sulla natura, come l’agroforestazione, la semina di colture di copertura e la riduzione o l’interruzione dell’uso di fertilizzanti chimici e pesticidi, il terreno riacquisterà più materia organica e contenuto di carbonio, rendendolo più fertile. Inoltre, la biodiversità ritornerà, contribuendo a colture sane e a rese migliori a lungo termine. Il terreno potrebbe anche necessitare di una minore irrigazione, poiché regolerà meglio l’uso dell’acqua”.
“Di conseguenza, il flusso diretto di entrate aumenterà nel tempo. Inoltre, i proprietari terrieri possono essere in grado di emettere crediti di carbonio perché ora il terreno funziona come un pozzo di carbonio. Si tratta di un’ulteriore entrata derivante dall’asset fondiario. In definitiva, l’investitore ha acquistato un bene ecosistemico degradato a un prezzo svalutato, ha investito nella sua transizione verso un bene basato sulla natura, migliorandone la qualità e aumentando i flussi di reddito, contribuendo al contempo alla rigenerazione della natura. Gli investitori idonei possono accedere a questo tipo di soluzione attraverso i fondi di investimento privati, che sono veicoli di investimento illiquidi che forniscono prestazioni finanziarie associate a forti impatti ambientali e sociali”.
Cosa differenzia il tema “natura” da quello della mera economia a emissioni zero?
“L’economia a emissioni zero si concentra sulle emissioni di gas serra con l’obiettivo di limitare il riscaldamento climatico globale a un massimo di 2°C entro il 2100, in conformità con l’Accordo di Parigi. Tuttavia, il Centro di Resilienza di Stoccolma, che ha condotto ricerche sui cosiddetti ‘limiti planetari’, ha evidenziato il fatto che le condizioni di vita sulla Terra si stanno deteriorando anche a causa dell’inquinamento, della perdita di biodiversità e dello squilibrio del ciclo dell’acqua dolce (per semplificare). Il tema della natura si concentra sul ripristino dell’ambiente naturale e sul riportare il nostro uso delle risorse naturali entro confini sicuri. Questo implica il ripristino degli ecosistemi, la gestione sostenibile delle risorse idriche e del territorio, la gestione dei rifiuti e la riduzione dell’inquinamento. Può effettivamente contribuire alla decarbonizzazione, ma non è l’obiettivo principale del tema”.
In che modo un portafoglio wealth management può aiutare il ripristino (laddove possibile) di risorse ormai depauperate?
Gli investitori privati possono sostenere finanziariamente il ripristino della natura attraverso diversi tipi di investimento e con diversi livelli di impatto:
- Quando acquistano azioni o obbligazioni, possono favorire le aziende le cui pratiche commerciali, prodotti e servizi sono rispettosi della natura e che si approvvigionano di materie prime nel modo più sostenibile possibile.
- Possono investire nei cosiddetti green o blue bond, che finanziano la gestione ecosostenibile delle risorse naturali viventi e dell’uso del suolo, la gestione sostenibile dell’acqua e delle acque reflue o la protezione della biodiversità terrestre e oceanica. L’emittente dell’obbligazione, che può essere un’azienda, un governo o una banca di sviluppo, ha l’obbligo di segregare i proventi e di utilizzarli solo per questi progetti. Di conseguenza, il capitale investito nell’obbligazione contribuisce a ripristinare le risorse depauperate.
- Quando gli investitori hanno accesso a asset privati, possono investire in fondi d’impatto, cioè in fondi che finanziano aziende o comunità che contribuiscono al ripristino delle risorse esaurite. Ciò può includere aziende che sviluppano dispositivi o pratiche agricole innovative, sistemi di monitoraggio, pratiche di pesca sostenibili, ecc.
- Nell’ambito degli asset privati, gli investitori possono anche investire in fondi che acquisiscono terreni per ripristinare i loro servizi ecosistemici (come descritto nella domanda 1).
Tutti questi investimenti possono essere inseriti in un processo di costruzione del portafoglio finanziariamente solido”.
Su quali categorie di titoli o partecipazioni bisognerebbe puntare?
“Come accennato in precedenza, principalmente azioni, bond e asset privati possono sostenere il tema Natura, ma con livelli diversi di liquidità e impatto:
- Le azioni tendono ad avere un impatto diluito (a meno che non si investa in pure players) perché una società può avere una linea di business che contribuisce positivamente e un’altra che non lo fa. Ad esempio, un’azienda di cellulosa e carta può approvvigionarsi solo di legno proveniente da foreste gestite in modo sostenibile, ma avere un problema di inquinamento delle acque nel suo processo produttivo.
- Lo stesso vale per i bond, a meno che non si investa in green o blue bond, scelte in base alla rilevanza del progetto che finanziano. In questo caso l’impatto del capitale investito non viene diluito.
- La maggior parte dell’impatto si ottiene negli asset privati, perché questi fondi mirano all’impatto quanto alla performance finanziaria e possono investire in un’ampia gamma di soluzioni che non sono disponibili sui mercati quotati.
Gli investitori che prediligono la liquidità dovrebbero affidarsi ad azioni e bond, mentre coloro che possono segregare una parte del loro patrimonio per investimenti a lungo termine senza esigenze di liquidità possono diversificare il loro portafoglio con asset privati”.
Quale grado di “pazienza” dovrebbe avere chi investe nella natura?
“La maggior parte degli investimenti di transizione richiede un orizzonte temporale più lungo rispetto agli investimenti basati sul consumo puro, perché la transizione si svolge nell’arco di diversi anni. Nel caso della natura, può essere necessario del tempo per vedere l’impatto di un progetto, e questo può valere anche per il ritorno finanziario, soprattutto negli asset privati. Tuttavia, i green e blue bond hanno una performance simile a quella delle obbligazioni standard e dipendono principalmente dalla qualità del credito dell’emittente. Gli investitori devono ancora pazientare per vedere l’evoluzione dei progetti, ma la loro pazienza può essere ricompensata dalla cedola che ricevono regolarmente”.