I Paesi del Nord Europa hanno ottenuto qualche vincolo in più sul rientro del debito pubblico nella versione del Patto di Stabilità approvata dall’Ecofin, che ora si avvia al voto del parlamento europeo. La sostanza della riforma, però, va nella direzione di una maggiore flessibilità e ‘personalizzazione’ per Paese rispetto al Patto in vigore fino al 2020, prima della sospensione dovuta al covid-19. I cardini, restano quelli della proposta avanzata dalla Commissione europea nel novembre 2022, che ridimensionava alcuni obiettivi e parametri di riferimento per rendere realistica l’applicazione delle regole alla luce del nuovo debito pubblico creato in seguito alla pandemia.
Btp, reazione “ottimista” sulla sostenibilità del debito
All’indomani dell’accordo politico sulla riforma del Patto lo spread Btp-bund è sceso sotto quota 160 punti base, proseguendo la rotta discendente avviata dopo l’ultima riunione della Bce. Nonostante i maggiori elementi di flessibilità del nuovo Patto di Stabilità, fra cui l’introduzione di piani pluriennali specifici per ciascun Paese, i mercati non hanno interpretato questa svolta nelle regole fiscali come una minaccia per la sostenibilità del debito italiano.
Come vedremo nel dettaglio, lo spirito di fondo delle regole fiscali europee resta finalizzato a garantire un rientro progressivo dei debiti pubblici al parametro di Maastricht del 60% sul Pil, rimasto invariato. Il percorso per raggiungere tale obiettivo, tuttavia, viene formalmente rivisto nelle modalità e nei tempi.
Debito pubblico: si taglia, ma con più calma
Sotto questa luce, è stato rimosso l’obbligo di ridurre del 5% la parte eccedente di debito rispetto al limite del 60% sul Pil. Questo obiettivo, la cosiddetta regola sul debito, è stata violata ripetutamente e mai sanzionata – per alcuni, un’implicita ammissione della sua eccessiva onerosità.
Il compromesso raggiunto dai governi europei il 20 dicembre, in sostituzione della vecchia regola sul debito, ha previsto nuovi vincoli sul rientro.
- Per i Paesi il cui debito superi il 90% sul Pil si prevede, all’interno di un piano pluriennale, un taglio medio del rapporto debito/Pil dell’1% all’anno;
- per i membri che si trovano in una forchetta di debito fra il 60 e il 90%, invece, la riduzione si riduce allo 0,5% annuo.
- In più, i Paesi che in questo momento stanno sforando il 3% di deficit sul Pil (avendo un debito oltre il 60%), avranno l’obiettivo di farlo scendere all’1,5%: questo consentirebbe di avere maggiore spazio di manovra in caso di rallentamenti economici, riducendo le probabilità di dover sforare il noto vincolo di Maastricht che rimane al 3%.
Per controbilanciare questi vincoli i Paesi del Sud hanno ottenuto, al termine del negoziato, un periodo di “accomodamento” durante il quale, alla riduzione del debito prevista delle nuove regole, verrà sottratta la spesa per interessi sul debito fino al 2027. Questo sconto ridurrà il taglio al debito cui sarebbero andati incontro, in particolar modo, Paesi come Francia e Italia.
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I pilastri della riforma del Patto di Stabilità prendono le mosse dal modello utilizzato dal Recovery fund, nel quale i Paesi concordano un piano con la Commissione europea – in questo caso, un piano di politica fiscale. L’obiettivo è garantire una maggiore ‘proprietà nazionale’ del percorso economico del Paese, limitando la prassi annuale in cui Bruxelles giocava sempre la parte del controllore severo sui conti. Secondo il nuovo accordo, i Paesi membri concorderanno con la Commissione un piano quadriennale (estendibile fino a sette) che preveda un tetto alla spesa pubblica, assicurando una traiettoria discendente del debito verso il limite del 60%. Come accennato in precedenza, per i Paesi con debito particolarmente distanti dal target, sarà richiesto un taglio del debito pari all’1% annuo del rapporto sul Pil, nella media del periodo considerato nel piano.
Fissare i vincoli sulla spesa pubblica, aveva sostenuto già da tempo l’European fiscal board, permetterà ai governi di avere maggiore spazio di manovra quando l’andamento dell’economia è negativo, mentre avverrebbe l’opposto quando la crescita potrebbe incentivare il governo a spendere di più. Inoltre, ogni Paese dovrebbe poter contare su un percorso personalizzato, che potrà tenere conto dei piani di riforme che incrementano il potenziale di crescita del Paese, al contrario del complesso sistema di vincoli numerici uguali per tutti.
L’accordo politico, stando alle dichiarazioni dei ministri e dei capi di governo, sembra aver soddisfatto tutti – non ultimo il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: “Un compromesso di buon senso” che risulta “migliorativo rispetto al passato”.