Il piano ReArm EU segna l’inizio di una nuova era di spesa militare in Europa, con centinaia di miliardi in investimenti che potrebbero però aggravare le fragilità fiscali di Paesi già indebitati come l’Italia. Anche se il piano comunitario cercherà di ridurre il più possibile gli oneri finanziari sui singoli stati, l’Italia potrebbe faticare più di altri a recuperare il ritardo accumulato. In più, gli obiettivi minimi di spesa militare che l’Italia nemmeno ha raggiunto, saranno probabilmente innalzati.
I governi dei Paesi Ue, infatti, stanno valutando un incremento dei target di spesa militare al 3% del Pil, rispetto all’attuale obiettivo del 2% fissato dall’alleanza militare Nato. Questo significa un aumento sostanziale del fabbisogno finanziario: spendere più risorse che peseranno sui bilanci pubblici di numerosi Stati membri, in particolare su quelli più indebitati come l’Italia. Come sottolineato da Scope Ratings in un recente rapporto, “gli Stati membri dell’Ue nella Nato dovrebbero allocare, in media, un ulteriore 0,8% del Pil ogni anno per portare la spesa per la difesa al 3% del Pil”. L’Italia, oltre a essere uno dei Paesi più indietro rispetto ai target militari, è anche il Paese Ue dal debito pubblico più elevato (Grecia esclusa) – e quindi più vulnerabile a crisi di fiducia degli investitori se aumenterà la spesa pubblica.
Un punto di partenza più basso rende il riarmo più oneroso per l’Italia
Tra i paesi dell’Ue, Italia, Spagna e Belgio sono tra quelli che oggi partono dai livelli di spesa militare inferiori al 2% del Pil. Secondo Scope, l’Italia dovrà sostenere un aumento della spesa per la difesa intorno al 5% delle entrate dello Stato per raggiungere il nuovo obiettivo del 3% del Pil. Questo impatto è più contenuto rispetto a paesi come la Germania, il cui divario di spesa diventerà il più ampio dopo l’esaurimento del fondo speciale da 100 miliardi di euro nel 2026 (per quanto il nuovo premier Merz abbia annunciato un aumento della dotazione a 200 miliardi). Tuttavia, a differenza della Germania, l’Italia non può contare sullo stesso margine di manovra fiscale per assorbire lo shock, avendo un debito pubblico nettamente più alto.
Morningstar DBRS, un’altra agenzia di rating, evidenzia che “paesi come Italia, Spagna e Belgio, che non hanno ancora raggiunto il target del 2% alla fine del 2024, potrebbero affrontare maggiori difficoltà poiché il costo dell’emissione di nuovo debito potrebbe risultare più elevato a causa del loro già alto livello di debito.” Questo significa che, per l’Italia, l’aumento della spesa militare risulterà più pesante in termini di finanza pubblica, poiché la necessità di coprire un divario più ampio rispetto ad altri paesi la costringerà a ricorrere maggiormente all’indebitamento. Avere, a parità di altri fattori, più difficoltà a finanziare nuova spesa significa per lo stato interessi sul debito più alti, e per chi detiene Btp maggiori rischi di vedere un calo di prezzo nei titoli che detengono in portafoglio (che riflettono finanze pubbliche meno solide).
Un deficit più alto per rispettare i nuovi target
Se l’aumento della spesa militare è già di per sé un onere significativo, il problema maggiore riguarda il suo impatto sui conti pubblici e sulla sostenibilità del debito. Se non accompagnato da misure compensative, alcune di tipo europeo, altre di puro e semplice sacrificio nazionale su altre forme di spesa, l’aumento militare porterà inevitabilmente a un deterioramento del disavanzo pubblico. Secondo Scope Ratings, “raggiungere un livello più alto di spesa per la difesa porterebbe probabilmente diverse nazioni europee sotto la procedura per deficit eccessivo, in particolare quelle già incapaci di ridurre il proprio deficit sotto il 3% nei prossimi anni”. Chiaramente, l’Italia rientra a pieno titolo in questo club.
L’Ue ha risposto evocando la clausola di fuga dai vincoli del Patto di Stabilità, che permetterebbero ai Paesi di spendere di più sulla difesa senza incorrere in procedure di infrazione. Questo, però, non basta a cancellare magicamente l’impatto sul bilancio pubblico.
“Dal punto di vista del rating del credito, qualsiasi valutazione va oltre la conformità alle regole fiscali”, ha affermato Scope, “un aumento della spesa per la difesa porterebbe a maggiori indebitamenti e al deterioramento delle traiettorie debito/Pil nella maggior parte dei paesi dell’Ue, e quindi a profili di credito sovrano più deboli, a meno che i governi non riducano altre spese o aumentino le entrate.”
Morningstar DBRS ha analizzato due scenari di aumento della spesa militare: uno rapido, in cui si raggiunge il 3% del Pil entro il 2026, e uno più graduale, con il target centrato entro il 2029. In entrambi i casi, l’Italia subirebbe un impatto significativo sul deficit: nello scenario rapido, il saldo fiscale peggiorerebbe di -4,8% del Pil, mentre nello scenario più graduale il deterioramento sarebbe di -3,2% del Pil. Solo il Canada, fra i Paesi analizzati, subirebbe un impatto più dannoso sul suo deficit (a causa di forze militari giudicate molto lacunose da vari esperti del settore).

Ma la spesa pubblica sulla difesa crea un volano per la crescita? Purtroppo, dal punto di vista strettamente economico, crea alcuni problemi: “i moltiplicatori fiscali legati alla spesa pubblica per la difesa, a causa dei vincoli dell’offerta, potrebbero essere limitati”, ha scritto DBRS, “e un aumento della spesa militare comporterebbe probabilmente una grande quantità di importazioni”. Nel calcolo del Pil, lo ricordiamo, le importazioni costituiscono un “segno meno”, ossia un freno al prodotto interno lordo. Di conseguenza, non solo la spesa militare potrebbe non generare crescita sufficiente a compensare l’aumento del deficit, ma potrebbe addirittura pesare negativamente sul Pil, aggravando la dinamica del debito.
Un premio per il rischio maggiore e l’impatto sui Btp
Infine, il punto cruciale della nuova fase di riarmo europeo per gli investitori in Btp. Un aumento significativo del deficit senza misure di compensazione adeguate potrebbe far crescere la percezione del rischio associato al debito italiano, portando a un aumento dello spread e a una pressione al ribasso sui prezzi dei Btp. Scope Ratings avverte che “una maggiore spesa per la difesa porterebbe a un aumento dell’indebitamento e a un peggioramento della traiettoria debito/Pil nella maggior parte dei paesi dell’Ue, indebolendo quindi i profili di credito sovrano, a meno che i governi non riducano altre spese o aumentino le entrate.”
Il mercato potrebbe richiedere rendimenti più elevati per i titoli di Stato italiani, riflettendo un premio per il rischio maggiore rispetto a paesi con una situazione fiscale più solida. Morningstar DBRS sottolinea che “i paesi con alti rapporti debito/Pil potrebbero affrontare sfide maggiori, poiché il costo dell’emissione di nuovo debito potrebbe risultare più elevato.” Questo fenomeno potrebbe generare una pressione al ribasso sui prezzi dei Btp, rendendo più costoso per l’Italia rifinanziare il proprio debito. E quando questo avviene, i detentori di Btp vedono scendere di prezzo il valore delle proprie obbligazioni.