L’art. 33 del Dl 78/2010 prevede per i dirigenti e amministratori di società operanti nel settore finanziario l’applicazione di un’addizionale Irpef del 10% su bonus e stock option, trattenuta dal sostituto d’imposta al momento dell’erogazione. Si tratta di una penalizzazione introdotta dal legislatore con finalità afflittiva nei confronti del comparto finanziario ritenuto responsabile della crisi economica globale del 2008.
Con tre recenti sentenze, la corte di Cassazione si è pronunciata sull’ambito oggettivo (sentenza n. 18552 pubblicata il 30 giugno 2023) e soggettivo (sentenze nn. 16875 e 18549 pubblicate il 13 e il 30 giugno 2023, rispettivamente) di applicazione di tale disciplina.
Le suddette pronunce richiedono particolare attenzione poiché, differenziandosi in modo significativo da precedenti arresti giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità, finiscono per ampliare considerevolmente l’ambito di applicazione della disciplina in questione attraverso:
- (i) l’eliminazione della condizione preliminare che richiede che la componente variabile della remunerazione superi il triplo della componente fissa (come stabilito nel comma 1 dell’articolo 33 menzionato);
- (ii) un’interpretazione estensiva del requisito soggettivo che riguarda l’appartenenza dei manager beneficiari di bonus e stock option al «settore finanziario».
Addizionale applicabile se il variabile eccede il fisso
L’addizionale del 10% a carico dei dirigenti e dei manager operanti nel settore finanziario è da corrispondere, come noto, sull’importo della retribuzione variabile che supera la parte fissa della remunerazione, ai sensi del comma 2-bis dell’articolo 33 del decreto legge 78/2010. Per determinare l’ammontare soggetto al prelievo addizionale, il confronto tra la retribuzione variabile e quella fissa deve essere effettuato in base a un criterio di “competenza” stabilito appositamente dall’agenzia delle Entrate nella circolare n. 4/E del 2011.
Finora è stato oggetto di incertezza se l’applicazione dell’addizionale sulla parte della retribuzione che supera l’importo corrispondente alla componente fissa fosse comunque subordinata al soddisfacimento della condizione preliminare stabilita nel comma 1 dello stesso articolo che la retribuzione variabile superi anche il triplo della retribuzione fissa.
Tale dubbio interpretativo è sorto in conseguenza dell’aggiunta – a opera dell’art. 23, co. 50-bis, del DL n. 98/2011 – del citato comma 2-bis all’articolo 33, prima del quale il comma 1 di quest’ultima disposizione si prestava pacificamente a una lettura univoca. Il presupposto impositivo, individuato dal legislatore quale dato rivelatore della ricchezza riconducibile a un determinato soggetto, era delineato nella sua connotazione soggettiva (“dipendenti che rivestono la qualifica di dirigenti e titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nel settore finanziario”) e oggettiva (“compensi sotto forma di bonus e stock option”).
La base imponibile, quale quantificazione del presupposto e parametro cui commisurare il tributo, era invece determinata nei compensi eccedenti “il triplo della parte fissa della retribuzione”.
Il comma 2-bis, secondo cui “per i compensi di cui al comma 1, le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano sull’ammontare che eccede l’importo corrispondente alla parte fissa della retribuzione”, ha inciso sulla base imponibile, individuandola non più (come già nel comma 1) nei compensi eccedenti il triplo della parte fissa della retribuzione, ma nell’ammontare semplicemente eccedente quest’ultima.
La decisione legislativa di introdurre un nuovo comma anziché apportare modifiche dirette al comma 1 ha generato una situazione in cui il nuovo quadro normativo può essere interpretato in due modi differenti.
Da un lato, fin dall’inizio, c’è chi ha sostenuto un’interpretazione estensiva del nuovo comma 2-bis, ritenendo che il riferimento ai “compensi di cui al comma 1” dell’articolo 33 fosse finalizzato esclusivamente a individuare il campo di applicazione della disposizione. Di conseguenza, la modifica normativa avrebbe avuto l’effetto di ampliare la parte dei compensi variabili su cui applicare l’addizionale del 10%, poiché la base imponibile è ora costituita dall’importo della retribuzione variabile che supera la componente fissa della retribuzione (cfr. Circolare n. 41/E del 2011).
Dall’altro lato, invece, un’altra linea interpretativa ha ritenuto che il primo comma della disposizione modificata non sia completamente superato, concludendo che l’aliquota addizionale sia applicabile sull’importo dei compensi che superano la retribuzione base, ma a condizione che la retribuzione variabile superi il triplo della retribuzione fissa. Ciò si basa sull’assunto che, in caso contrario, il legislatore non avrebbe inserito un nuovo comma lasciando invariato il primo (si veda ad esempio, sentenza della corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia n. 494 del 7 febbraio 2023 e precedenti conformi ivi richiamati).
In questo contesto interpretativo si colloca la sentenza n. 18552 pubblicata il 30 giugno 2023, in cui la corte di Cassazione ha sostanzialmente adottato la posizione dell’Erario. Nel delineare il proprio ragionamento, i giudici di legittimità hanno affermato che i commi 1 e 2-bis – durante il periodo di validità contemporanea, cioè per i compensi erogati a partire dal 17 luglio 2011 – regolano in modo diverso la base imponibile dell’addizionale, creando un’incapacità di coesistenza che comporta, in conformità all’articolo 15 delle disposizioni preliminari al codice civile, l’abrogazione tacita (seppur parziale) del comma 1 da parte del nuovo comma 2-bis dell’articolo 33 del decreto legge 78/2010. Al contrario, la disposizione originaria del comma 1, comprensiva della determinazione della base imponibile nell’eccedenza del triplo della componente fissa della retribuzione, rimane applicabile ai compensi erogati prima del 17 luglio 2011, giustificando così la sua limitata persistenza.
Di conseguenza, per quanto riguarda i compensi erogati ai dirigenti delle imprese operanti nel settore finanziario a partire dal 17 luglio 2011, sotto forma di “bonus” e “stock option”, secondo la decisione della Cassazione l’imposta addizionale si applica “sull’ammontare di detti compensi che eccede l’importo corrispondente alla parte fissa della retribuzione, senza che sia necessario che la retribuzione variabile ecceda anche il triplo della parte fissa della retribuzione”.
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La nozione di “settore finanziario”
Con le sentenze nn. 16875 e 18549 del 2023, la Cassazione si è invece soffermata sulla corretta interpretazione della nozione di “settore finanziario”, rilevante ai fini della individuazione della categoria di soggetti su cui operare il prelievo aggiuntivo.
È importante notare che non ci sono stati sempre orientamenti unanimi su questo ambito, a causa dell’assenza di una definizione normativa specifica di tale locuzione.
L’agenzia delle Entrate ha sempre attribuito un ampio significato a questa nozione, sostenendo che, in mancanza di un’indicazione esplicita, essa comprenda non solo banche, società di gestione del risparmio, intermediari finanziari, istituti di moneta elettronica e società che svolgono attività finanziarie, ma anche le “holding che assumono e/o gestiscono partecipazioni in società finanziarie, creditizie o industriali” (come indicato nella circolare n. 4/E del 2011, paragrafo 13.1, e più di recente, nella risposta a un interpello del 13 dicembre 2018, n. 106).
Al contrario, fino ad ora, la giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha adottato un approccio più restrittivo nell’interpretazione del perimetro applicativo, includendo solo soggetti che svolgono attività “rivolte al pubblico”. Si è sottolineato, infatti, che la disciplina mira a scoraggiare attività speculative che non sono caratteristiche delle holding che operano esclusivamente o principalmente all’interno del proprio gruppo di appartenenza (oltre alle sentenze di merito relativa al caso in questione, si veda l’ordinanza della Cassazione n. 22692 del 19 ottobre 2020).
Secondo il nuovo orientamento della Cassazione, invece, il concetto di “settore finanziario” dovrebbe essere interpretato in senso ampio e, in linea con la posizione dell’Erario precedentemente menzionata, dovrebbe comprendere anche le cosiddette “holding industriali” e le società che forniscono “servizi di consulenza e assistenza in materia societaria e finanziaria”. In entrambi i casi, contrariamente alle decisioni a favore del contribuente prese nelle fasi di merito e discostandosi da alcune sue precedenti decisioni, la Corte di Cassazione ha ritenuto applicabile l’addizionale del 10%, ponendo l’accento sulla ratio della disposizione.
Addizionale applicabile per i dirigenti di holding industriali
Nella specifica controversia affrontata nella sentenza n. 16875, si discuteva la posizione di un ex dirigente di una nota holding industriale italiana che, insieme alla stessa holding, aveva presentato ricorso contro il rifiuto dell’agenzia delle Entrate di riconoscere il rimborso delle ritenute precauzionali versate sulle retribuzioni corrisposte a titolo di bonus nel 2012. La questione verte sulla mancanza, nel caso specifico, del requisito soggettivo richiesto dall’articolo 33 citato (cioè la qualifica di dirigente o il possesso di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa nel “settore finanziario”), poiché la società datrice di lavoro è una holding industriale che non può essere considerata un “soggetto operante nel settore finanziario”.
La Cassazione ritiene che tali argomentazioni non siano condivisibili, in quanto contrastano con la finalità della disposizione. Quest’ultima, in particolare, deve essere interpretata considerando il contesto storico da cui ha avuto origine, ovvero la crisi finanziaria del 2008, che ha portato all’ampio utilizzo di sistemi di incentivazione distorti e di scarso senso di responsabilità nel settore finanziario. Ciò ha reso necessario intervenire, con una funzione generale e preventiva, anche sulle politiche di remunerazione dei dirigenti operanti in questo settore.
È proprio in tale contesto che è intervenuto il legislatore italiano con l’art. 33 del Dl n. 78 del 2010, senza tuttavia effettuare alcun rinvio ad altra fonte che disciplini il “settore finanziario” (e in particolare non richiamando il Tub, né facendo riferimento alla qualifica e definizione degli “intermediari finanziari”) e anzi evidenziando nel dato normativo positivo quella che sarebbe la ratio teleologica del suo intervento, attraverso la formula testuale “in dipendenza delle decisioni assunte in sede di G20 e in considerazione degli effetti economici potenzialmente distorsivi propri delle forme di remunerazione operate sotto forma di bonus e stock option (…)” contenuta in apertura della citata disposizione.
Ne deriva, secondo la Cassazione, che il riferimento al “settore finanziario” debba essere inteso nella sua “globalità e complessità” e che la nozione fiscale di tale locuzione debba essere derivata “da quella socio economica, sì da ricomprendere tutti quegli attori di compagini (anche non necessariamente soggette a vigilanza e/o che svolgano attività rivolta al pubblico) che, essendo attive sulla scena finanziaria, sono in grado, direttamente e/o indirettamente, di indurne torsioni pregiudizievoli per effetto di incentivi retributivi” e quindi anche le holding industriali.
Addizionale applicabile per i dirigenti di società di consulenza finanziaria
In linea con la decisione appena citata, nella sentenza n. 18549 pubblicata il 30 giugno 2023, la corte di Cassazione ha confermato che un’interpretazione estensiva del concetto di “settore finanziario” – inteso come “clausola generale di derivazione socio-economica” – è coerente con lo scopo della norma e, pertanto, la potenziale capacità di produrre effetti economici potenzialmente distorsivi, se stimolati da una retribuzione variabile maggiore, “non è esclusiva dei dirigenti bancari e degli intermediari finanziari”.
Nel caso specifico, è stato sottolineato che rientrano nel concetto di “settore finanziario” ai fini dell’addizionale del 10% anche le retribuzioni riconosciute ai consulenti che hanno rapporti di lavoro assimilabili al lavoro dipendente con una società che fornisce “servizi di consulenza e assistenza in materia societaria e finanziaria alle aziende”, anche se tale entità non svolge attività di finanziamento al pubblico e non è registrata presso la Banca d’Italia come intermediario finanziario (e quindi non è soggetta a vigilanza). Questo perché, escludendo l’importanza di qualifiche formali di “soggetti finanziari”, il riconoscimento di una retribuzione variabile nell’ambito dell’attività di consulenza finanziaria può generare gli effetti economici distorsivi che l’articolo 33 del Dl 78/2010 mira a prevenire.
A tal riguardo, la Cassazione sostiene che non è rilevante il fatto che il consulente finanziario sia neutrale rispetto a tali effetti economici distorsivi, poiché gli stessi possono essere effettivamente realizzati solo da coloro che, ricevuta la consulenza, agiscono conseguentemente. Da un lato, l’articolo 33 svolge una chiara funzione di dissuasione e prevenzione del pericolo e, d’altra parte, non si può negare (almeno a priori) l’esistenza di un collegamento tra l’attività di consulenza e la ragione per cui è stata richiesta.
Dubbi interpretativi e criticità operative
Tra le decisioni menzionate, l’ampia definizione di “settore finanziario” adottata dalla suprema Corte, oltre a presentare incongruenze rispetto all’intento del legislatore, genera le maggiori problematiche dal punto di vista operativo.
In termini di ratio della norma, infatti, è importante notare come la relazione governativa all’articolo 33 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, abbia specificato che la norma si applica ai dipendenti e agli amministratori di banche e istituti finanziari che hanno causato distorsioni nel sistema finanziario attraverso forme di incentivi nella loro retribuzione, come bonus e stock option. L’inizio stesso della norma, con il suo esplicito riferimento alle decisioni prese nel contesto del G20, fornisce al lettore una prova molto chiara dell’intento legislativo effettivo e del campo operativo al quale si rivolge.
La ratio della disposizione era stata richiamata anche dalla corte Costituzionale (cfr. sentenza 16 luglio 2014, n. 201) che, chiamata a valutare che non fosse irragionevole e discriminatoria la limitazione del prelievo al solo “settore finanziario”, ha ricostruito la ragione che ha indotto il legislatore a prevedere il prelievo addizionale nell’intento “di scoraggiare modalità remunerative variabili considerate pericolose per la stabilità finanziaria”, precisando che la mancata estensione ad altri settori è giustificata in quanto un “rischio di questo genere non ricorre per l’attività di altri contribuenti che vengono retribuiti in modo analogo ma non hanno la stessa possibilità di incidere, con il loro operato, sulla stabilità dei mercati finanziari”.
L’estensione recentemente adottata dalla corte di Cassazione, includendo soggetti non strettamente qualificabili come intermediari finanziari, si basa sulla considerazione che la nozione socio-economica di “settore finanziario”, rilevante ai fini di tale regolamentazione, non è limitata esclusivamente ai dirigenti di banche e intermediari finanziari. Di conseguenza, si ha un campo di applicazione particolarmente ampio e potenzialmente indefinito, in grado di includere ogni dirigente o amministratore di aziende che, nell’esercizio delle proprie attività, intrattenga un qualsiasi rapporto vagamente finanziario che possa causare (anche solo potenzialmente) conseguenze dannose per tale settore. Tuttavia, non sono individuati criteri, sia qualitativi che quantitativi, che guidino il contribuente nella valutazione dell’applicabilità di questa regolamentazione al caso specifico.
In relazione alle holding industriali, al momento attuale non è chiaro se e in che misura queste possano rappresentare un rischio per la stabilità del settore finanziario, in relazione al loro ambito operativo. A questo proposito, potrebbe essere utile stabilire una distinzione tra:
- (i) le holding a capo di gruppi industriali quotati o con strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in modo significativo
- (ii) le holding a capo di gruppi industriali non quotati: solo nel primo caso potrebbe essere teoricamente ipotizzabile un rischio di ricadute negative sulla stabilità finanziaria a causa di compensi variabili sproporzionati, come sostenuto dalla Cassazione.
Conclusioni
In conclusione, si evidenzia un quadro generale caratterizzato da un’incertezza significativa, e si auspica un intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite o eventualmente del legislatore stesso, mediante l’emanazione di una norma di interpretazione autentica.
In questo contesto, una soluzione ragionevole potrebbe consistere nel considerare, oltre alle disposizioni normative applicabili ratione temporis, le definizioni fornite dall’articolo 162-bis del Dpr n. 917/1986 (“Tuir”). Questo articolo fornisce, infatti, una precisa definizione di “intermediari finanziari” e “società di partecipazione finanziaria” (comunemente note come holding finanziarie) da un lato, e di “”società di partecipazione non finanziaria” (holding industriali) dall’altro. Tali definizioni, come confermato dalla relazione illustrativa al D.lgs. n. 142/2018 che ha introdotto questa normativa, dovrebbero applicarsi “a tutte le disposizioni dell’ordinamento tributario che fanno riferimento a tali soggetti”, compresi quindi i “soggetti operanti nel settore finanziario” menzionati nell’articolo 33 citato.
In tale direzione, dunque, per garantire la certezza del diritto e il rispetto delle reali finalità sottese alla normativa in esame sarebbe opportuno annoverare, tra i “soggetti operanti nel settore finanziario”, solamente gli intermediari finanziari e le società di partecipazione finanziaria, come definiti dall’articolo 162-bis, comma 1, lett. a) e b) del Tuir. Una simile soluzione, del resto, era stata già avallata dal Mef nella risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-07328 del 12 gennaio 2022 ove il Governo, riconoscendo la valenza del citato articolo 162-bis ai fini dell’addizionale, aveva ritenuto opportuno escludere le “holding industriali”, oggi definite dalla lettera c), dal relativo perimetro applicativo.
(Articolo scritto in collaborazione con Damiano Di Vittorio, Gattai, Minoli, Partners)