Il dato deludente (75.000 nuove unità a fronte delle quasi 150.000 attese dagli analisti) sulla creazione di nuovi posti di lavoro negli Usa lo scorso maggio sta preparando il terreno a un taglio dei tassi da parte della Fed, la stessa accusata da Trump di “aver commesso l’errore di aver alzato i tassi troppo velocemente” e di avere messo gli Stati Uniti “in una posizione di svantaggio rispetto alla Cina”, che ha svalutato il reminbi. La Fed però si era già resa disponibile a tagliare i tassi nella riunione del 4 giugno, dicendo, con le parole del governatore Powell di voler agire “in maniera appropriata per sostenere l’espansione”.
Il boom dei fondi bond
Se sul fronte Fed il taglio dei tassi è solo una questione di (poco) tempo, sull’altra sponda dell’Atlantico l’orizzonte non cambia di certo. L’ultima forward guidance di Mario Draghi, ossia le ultime dichiarazioni pubbliche della Bce in materia di politica monetaria parlano infatti di “tassi zero” fino almeno a tutta la prima metà del 2020. La stessa riunione ha poi stanziato una nuova tranche di maxi prestiti alle banche, i cosiddetti Tltro, non escludendo nemmeno un ritorno al Qe in caso di necessità. Non stupisce quindi che ci sia stato un deciso riposizionamento del mercato sui fondi obbligazionari, prossimi ormai ad un aumento di valore. La prima settimana di giugno ha visto così un aumento delle sottoscrizioni obbligazionarie pari a 17,5 miliardi di dollari (dati Epfr Global). Il dato porta il saldo globale dei fondi obbligazionari da inizio anno a 183 miliardi di dollari. Il boom dei bond è avvenuto a discapito dei fondi azionari, che proprio a maggio hanno subito una pesante correzione. A onor del vero bisogna però dire che la performace toale dell’azionario da inizio anno è nettamente positiva, essendo pari a +11,7%. Secondo le probabilità assegnate dagli analisti però il taglio dei tassi (25 punti base) da parte della Fed non averrà nella prossima riunione del 19 giugno ma in quella di fine luglio (75% di probabilità).