Big Tobacco
Dagli anni ’80 fino a qualche anno fa Big Tobacco era una macchina da soldi. Le vendite di sigarette calavano quasi ogni anno, ma i prezzi aumentavano più che abbastanza per compensare il calo e i margini di profitto erano, beh, mostruosamente alti. La tecnologia ha cambiato tutto. Lo sviluppo delle sigarette elettroniche, e in misura minore del tabacco riscaldato, ha rovesciato il modello di business. Fino al punto da far divenire Big Tobacco un leader sulle questioni ambientali, sociali e di governance – e persino sulla salute, almeno a parole. “La nostra è una strategia ESG ‘H+’: ‘H’ come salute” ha affermato al Wsj Kingsley Wheaton, chief marketing officer della British American Tobacco, la più grande azienda di tabacco per vendite al mondo.
Due alternative
Sulla testa delle Big Oil pende la spada di Damocle di un futuro verde che poco si concilia, a sentire parlare la comunità scientifica e la classe politica, con l’uso intensivo di petrolio. Di conseguenza la vita per queste società è sempre più difficile: regolamentazioni sempre più rigide sono all’ordine del giorno, lanciare una nuova azienda di tabacco è quasi impossibile, così come gli investimenti in nuove perforazioni. Il che significa, a detta di molti, riduzione dell’offerta e aumento dei prezzi. Al contempo sullo sfondo c’è la tentazione di farsi una bella doccia verde o l’opportunità di contribuire effettivamente alla salvaguardia del pianeta. L’industria petrolifera è ora al bivio.
Tutto sul margine
C’è chi crede che il percorso verso un minor consumo di petrolio sarà simile a quello del tabacco dagli anni ’80 al 2000. I volumi diminuiranno ma i prezzi più alti aumenteranno i margini di profitto. La dipendenza dei clienti ha fatto sì che le vendite di sigarette continuassero anche quando le spese di marketing venivano ridotte a causa delle restrizioni legali. Allo stesso modo è probabile che le vendite di benzina continueranno per molti anni, anche qualora le compagnie petrolifere non spendessero le grandi cifre del passato per esplorare e trivellare nuovi pozzi. E nel frattempo le compagnie petrolifere potrebbero pagare agli azionisti i grassi dividendi offerti per decenni dai titoli del tabacco. Come per il tabacco, questa strategia non può durare per sempre. A maggior ragione se le promesse di emissioni zero-nette entro il 2050 dovessero diventare realtà. La maggior parte delle aziende che seguono questa strategia sono private e comprano asset che vengono svenduti dalle aziende quotate in borsa che cercano di ridurre le loro emissioni.
Il greenwashing
Dall’altra parte ci sono le major petrolifere, soprattutto in Europa, che pensano che il futuro comporti un costante passaggio dal petrolio a nuove energie pulite come i parchi eolici. Come Big Tobacco, queste compagnie petrolifere si fanno vanto dei loro progetti esg. Questo disgusta gli attivisti, che etichettano il tutto come “greenwashing”, operazione fatta per distrarre clienti e investitori dal danno che quotidianamente fanno. BAT, per esempio, ha persino rimosso la parola “tabacco” dal suo marchio nel 2020, così come ha eliminato la foglia di tabacco dal suo logo e ha aggiunto lo slogan “A Better Tomorrow”.
Rating discordi
Almeno alcune delle agenzie che valutano le aziende sulle caratteristiche esg sembrano credere alla “favola” di BAT. Refinitiv l’ha posizionata al terzo posto nella classifica delle aziende più sostenibile nel FTSE 100. Sustainalytics, parte di Morningstar, nel settore dei prodotti alimentari la valuta a medio rischio, posizionandola 88° su 598 aziende a livello globale. S&P Global pensa che BAT sia tra le migliori aziende di tabacco, mentre MSCI non sembra essere dello stesso avviso. Per MSCI invece Shell, che sta cercando di convertire i distributori di benzina in hub per la ricarica delle auto elettriche, è meritevole di una AA, il secondo miglior rating. Refinitiv dice che Shell ha la migliore governance del mondo.