Fanno capolino nel ranking del nuovo “Global startup ecosystem report” di Startup Genome, solo Milano e Roma, rispettivamente al 54° e 105° posto
Dendi: “La pandemia ha scatenato un po’ di movimento. Tanti che erano nella Silicon Valley si sono mossi verso città come Miami e Austin”
“I motivi sono semplici e possiamo andare a ricavarli tra i macrofattori su cui si fonda il report stesso. Noi abbiamo a nostro favore grandissime cose: la disponibilità di funding, il knowledge e il talento. Il problema è che mancano nettamente altre due componenti dell’ecosistema, la ricchezza del mercato e le performance, che lego anche a una situazione generale di assenza di regole e strumenti a livello nazionale che facilitino la crescita delle startup e dell’innovazione in generale. Parlo di un mercato capace di dare sfogo alle tantissime idee che le nostre fucine di cervelli possono favorire. Per contro, il nostro è un mercato piccolo e complesso”.
E quello statunitense?
“Il mercato statunitense, più grande e veloce, parte da un approccio culturale all’innovazione molto distante dal nostro. L’innovazione è accolta e perseguita. Non si fa molta fatica ad andare a creare opportunità o dare opportunità a nuove iniziative di business. Negli Usa la startup sceglie l’investitore, mentre in Italia l’investitore sceglie la startup. E poi c’è un ecosistema del tutto diverso. Fondi abituati a investire e founder che iniziano a diventare seriali, perché sono più strutturati e hanno gli strumenti adatti a loro disposizione”.
La Silicon Valley rappresenta oggi un punto di riferimento per gli imprenditori tecnologici. Ma quali sono le alternative?
“La Silicon Valley vale due terzi del valore generato dall’ecosistema venture delle altre 10 che seguono. È la prima indiscussa. Ma ci sono anche altri ecosistemi molto validi. Tra l’altro la pandemia ha scatenato un po’ di movimento, nel senso che tanti che erano nella Silicon Valley si sono mossi verso città come Miami e Austin. Miami perché consente di avvicinarsi al fuso orario europeo, rendendo più facile operare con l’altra parte dell’Oceano. Austin invece si trova vicino la Silicon Valley, che in questo momento è piena e molto costosa. A livello internazionale altri ecosistemi importantissimi sono Londra e Tel Aviv. Londra soprattutto per tutto quello che è finanziario o derivante dal finanziario, come l’insurtech. Tel Aviv per la parte un pochino più tecnologica e di ricerca scientifica e innovazione radicale”.
E in Italia?
“Credo che una città che sta facendo molto bene, oltre a Milano, sia Torino. Forse è quella che ha compreso meglio quanto anche i grandi gruppi industriali, ma anche tutto quello che è corporate e innovation, può dare al mondo del venture capital. Ci sono realtà che stanno nascendo sia a livello di startup che di veicoli e fondi d’investimento da tenere sotto osservazione, soprattutto sulla tecnologia pesante”.
A che punto siamo invece in termini di finanziamenti di venture capital?
“Stiamo migliorando, nel senso che di cassa disponibile e destinata a questo tipo di asset ce n’è e sta aumentando sensibilmente. Basti pensare a quello che ha fatto Cdp nell’ultimo biennio, dando una sterzata importante a questo settore a supporto di tutti i player che già esistevano o stavano nascendo. A mio avviso, però, si sta dando tanta propulsione alla parte di finanziamento ma meno a tutto quello che serve ad agevolare una nuova iniziativa di business. Oggi, alla startup, non viene dato un grandissimo aiuto a livello di strumenti e conoscenza. In un ecosistema deve esserci anche la possibilità di avere soggetti e soluzioni che possano aiutarti a diventare tanto dinamico quanto serve a superare tutte le sfide caratteristiche di una startup, che deve crescere 30 volte più veloce di un’azienda tradizionale”.