L’incertezza sui mercati globali travolge le startup, che subiscono una compressione di valutazioni ed exit. Ma le italiane continuano a manifestare un certo ottimismo sul futuro
Lovato: “I settori che riteniamo di maggior interesse sono quelli che ancora non hanno conosciuto una digitalizzazione significativa”
Il 68,1% delle startup italiane stima di chiudere l’anno con un fatturato in crescita di almeno il 5%. Il 39,1% prospetta un incremento superiore al 25% e il 18% un incremento superiore al 50%
Gli investimenti in startup italiane hanno conosciuto nei primi sei mesi dell’anno una crescita costante rispetto all’ultimo semestre del 2021, per un importo che sfiora il miliardo. Un ecosistema, tra l’altro, che a dispetto del contesto macro continua a manifestare un certo ottimismo sul futuro. Sebbene talvolta finisca per confrontarsi con limiti interni in termini di disponibilità di capitale che rendono sfidante generare crescita e opportunità di exit significative. Sara Lovato, investment manager di United Ventures (società italiana indipendente di venture capital specializzata in tecnologie digitali con 360 milioni di euro in gestione), ne fotografa punti di forza e di debolezza. Per identificare i settori su cui puntare, nel breve e nel lungo termine, quando si parla di made in Italy.
Qual è stato l’impatto dello scenario economico e geopolitico attuale sulle startup a livello globale?
L’ultimo decennio ha visto una grande esuberanza dei mercati – anche a valle delle politiche di risposta alla crisi pandemica – ed è stato protagonista di valutazioni e raccolte record per le startup. Oggi lo scenario è estremamente diverso. L‘incertezza sui mercati globali nonché le ripercussioni dell’attuale situazione geopolitica ed energetica sull’economia reale hanno un diretto impatto anche sul settore startup, che ha visto una notevole compressione di valutazioni ed exit. La stessa capacità di penetrare taluni mercati e di raccogliere capitali significativi è diventata più complessa, in un contesto in cui consumatori e investitori sono diventati più cauti nelle proprie scelte. Nel contempo, queste dinamiche vanno considerate nel contesto del venture capital che per sua natura ha tempi di ritorno piuttosto lunghi, tali da renderlo decorrelato rispetto a dinamiche di mercato di breve-medio periodo. Inoltre, questo scenario mette strutturalmente in evidenza le realtà dotate di fondamentali solidi, a discapito di quelle che mancano alla base di modelli di business sostenibili. Non è un caso che molte tra le società innovative di maggiore successo siano nate proprio in contesti di bear market. Basti pensare al noto caso di Airbnb, fondata nel 2008, che ha conosciuto una crescita esponenziale e ancora oggi vanta una posizione di leadership nel proprio settore.
Secondo un recente rapporto di InnovUp, il 68,1% degli imprenditori stima di chiudere l’anno con un fatturato in crescita di almeno il 5%. Il 39,1% prospetta un incremento superiore al 25% e il 18% un incremento superiore al 50%. È giunto il momento di investire sulle startup italiane?
Come noto, l’ecosistema startup italiano è partito in ritardo rispetto ad altri paesi europei ma si trova attualmente in una fase di forte crescita. Lo sbocciare di una nuova mentalità d’impresa che fa perno su giovani talenti, modelli di business innovativi e sull’eccellenza della tecnologia italiana, crea un panorama startup sempre più all’altezza di competere nel contesto globale. Il volano dei fondi pubblici sta spingendo un settore privato in espansione. Nonostante il contesto macro, gli investimenti in startup italiane hanno continuato a crescere nel primo semestre 2022, per un importo che sfiora il miliardo. Si tratta di numeri ancora relativamente contenuti, ma grandi a sufficienza per generare storie di successo. Certamente c’è ancora molto da fare – stiamo parlando della costruzione di cicli virtuosi che per loro natura hanno lunghi tempi di maturazione – ma riteniamo che ci siano grandi opportunità di investimento.
In che modo l’Italia si distingue dagli altri paesi europei?
L’Italia è un paese di imprenditori, molto creativo, storicamente abituato a dialogare con l’estero. La sensibilità verso i processi di digitalizzazione si è diffusa con oltre 10 anni di ritardo rispetto ai principali paesi europei che prima di noi hanno visto l’emergere del venture capital e hanno adottato politiche favorevoli in tal senso. L’imprenditore italiano si deve talvolta confrontare con limiti interni in termini di adozione tecnologica e disponibilità di capitale a ogni stadio di sviluppo della propria società, che rendono più sfidante generare crescita e opportunità di exit significative. Anche per cogliere queste esigenze abbiamo di recente lanciato un fondo growth volto a supportare la fase di scale-up, un segmento di mercato poco presidiato in Italia. Nella nostra esperienza, l’Italia è un paese estremamente interessante per avviare un’impresa. Tuttavia, rimane fondamentale per un investitore essere in grado di individuare imprenditori capaci di aprirsi all’Europa e al mondo per generare ritorni importanti.
Su quali settori puntare, guardando al breve e al lungo termine?
Quelli che ancora non hanno conosciuto una digitalizzazione significativa e che potrebbero invece generare processi più sostenibili, collaborativi ed efficienti, aumentando la produttività di settore tramite applicazioni software agili e globali. Il contesto attuale ci porta certamente a riflettere su tutto il comparto energetico e della supply chain; ma anche sulle nuove applicazioni in ambito blockchain e quantum computing, sulla salute e sull’ambiente.
Qual è la strategia di United Ventures in Italia?
Con i suoi due fondi early stage (più un terzo in fase di raccolta) e un fondo growth, United Ventures si propone di investire in imprenditori eccezionali che abbiano l’ambizione di innovare – su scala globale – settori ancora non digitalizzati. United Ventures cerca di identificare per tempo questi trend, anticipandoli e supportando il percorso di crescita delle startup in portafoglio. Abbiamo sviluppato un network qualificato, nonché una capacità umana e tecnologica che ci consente di avere un accesso privilegiato alle migliori opportunità nel mercato italiano. Un esempio concreto di questa strategia è Musixmatch, società entrata nel nostro portafoglio nel 2014, in un momento in cui si è compreso in anticipo l’enorme cambiamento che avrebbe travolto il consumo di musica digitale e la conseguente opportunità di sviluppare nuovi modelli di business. United Ventures ha accompagnato il suo percorso di crescita fino a quando non è diventata il più grande database di testi musicali al mondo (8 milioni, disponibili in 80 lingue), con una rete di oltre un milione di artisti. Recentemente, la società è stata oggetto di un’operazione straordinaria a maggioranza da parte di Tpg, fondo di private equity tra i più importanti a livello globale, con circa 120 miliardi di dollari in gestione e investimenti in Spotify, Airbnb e Uber.
(Articolo tratto dal magazine We Wealth di novembre 2022)