Due letture migliori del previsto, come quelle di ottobre e novembre “sono benvenute”, ma “dobbiamo essere onesti con noi stessi: l’inflazione è tre volte il nostro obiettivo”, ha dichiarato il presidente della Fed, Jerome Powell, nel corso della conferenza stampa
Nei piani della Fed “non ci sono tagli ai tassi nel corso del 2023”, ha chiarito il presidente su un punto estremamente importante per le attese di mercato
Il rialzo è stato quello che gli analisti si aspettavano con larga maggioranza: la Federal Reserve ha aumentato i tassi di 50 punti base e rallentando il passo verso l’attesa “pausa”, che potrebbe seguire alla prima riunione del nuovo anno. Il nuovo range dei tassi dei fondi federali, deciso con voto unanime, è 4,25-4,5%. Tuttavia, il dot plot delle aspettative sul futuro posizionamento dei tassi si è innalzato rispetto alla precedente riunione, in linea con quanto previsto dagli analisti, attestandosi al 5,1% a fine 2023, ma le revisioni al rialzo riguardano anche il tasso di fine 2024 fissato al 4,1% (dal precedente 3,9%).
La Federal Reserve, inoltre, ha aggiornato al rialzo le previsioni sull’inflazione per l’anno in corso e per il prossimo. Il Pce index si attesterà, secondo la Fed, al 5,6% nell’anno in corso e al 3,1% nel prossimo – rivedendo verso l’alto di 2 e 3 decimali, rispettivamente, le previsioni dello scorso settembre. Anche nel 2024 e nel 2025 l’inflazione attesa sarà più elevata del previsto e al di sopra del target del 2%. Deciso anche il taglio alle prospettive di crescita del 2023, che sono passate dall’1,2% allo 0,5%; contemporaneamente è aumentata l’aspettativa sull’aumento della disoccupazione dal 4,4% previsto a settembre al 4,6% – si tratterebbe di un incremento di 9 decimali rispetto ai livelli di disoccupazione americana attuali.
Mercato, una reazione poco entusiasta
Questi elementi hanno nell’immediato impresso una virata negativa sull’andamento di Wall Street, passata in negativo dopo la pubblicazione dei dati: l’S&P 500 ha ceduto, in quel frangente, circa mezzo punto. Le perdite si sono nel giro di pochi minuti estese ulteriormente (oltre il -1,2%), per poi cambiare nuovamente direzione dopo che Powell ha ribadito come realizzabile l’obiettivo di un atterraggio morbido dell’economia.
Rondini che non fanno ancora primavera
Fra i primi messaggi resi da Powell durante la conferenza stampa non è mancato un importante avvertimento: “Ci resta ancora del lavoro da fare”. L’interpretazione di queste parole non può che essere restrittiva. “Da qui in avanti la domanda più importante non sarà a quale ritmo procederemo con i rialzi, ma per quanto tempo” i tassi rimarranno al loro livello, ha dichiarato Powell rispondendo a una domanda su quale sarà l’entità dei prossimi inasprimenti. “L’inflazione sui servizi non tornerà indietro tanto velocemente”, ha aggiunto il presidente, nel giustificare il motivo che spingerà la Fed a mantenere i tassi elevati per diverso tempo, nonostante i segnali di inversione sugli aumenti dei prezzi generale.
“Nel determinare il ritmo dei futuri aumenti dell’intervallo obiettivo, il Comitato terrà conto dell’inasprimento cumulativo della politica monetaria, dei ritardi con cui la politica monetaria influisce sull’attività economica e sull’inflazione e degli sviluppi economici e finanziari”, si legge nel comunicato del Fomc che ricalca le dichiarazioni pubbliche del presidente, che avevano già anticipato l’esigenza di considerare il ritardo con il quale i rialzi operati finora si sarebbero fatti sentire sull’economia.
A preparare il terreno per la decisione di Jerome Powell e i suoi colleghi era stato, martedì 13 dicembre, il dato migliore del previsto sul fronte dell’inflazione di novembre, sia nella compenente generale sia in quella di fondo – una lettura che ha immediatamente fatto pensare gli operatori a una conferma della tabella di marcia annunciata dalla Fed. Un tasso terminale dunque, sempre più vicino attorno a 5%. La Federal Reserve è stata cauta nel non mandare messaggi eccessivamente ottimisti al mercato, dando la priorità ancora una volta al contenimento dell’inflazione, rispetto a quelle che potrebbero essere le conseguenze economiche della stretta nel corso del 2023.