La Corte dei Conti dell’Unione europea ha chiesto alla Commissione Ue di “proteggere meglio gli investitori al dettaglio, in particolare mediante norme più rigorose sugli incentivi” percepiti dai consulenti finanziari, banche e assicurazioni che “rappresentano i distributori ai clienti finali più diffusi” in Europa
“Poiché le commissioni rappresentano il principale fattore trainante” della distribuzione, hanno aggiunto i magistrati contabili, “i fondi passivi (compresi i fondi indicizzati quotati), raramente soggetti a commissioni, sono stati tradizionalmente trascurati dalle banche, poco inclini a commercializzare prodotti con onorari bassi”
E’ una presa di posizione molto forte quella dei magistrati contabili europei, che se venisse ascoltata dai legislatori avrebbe forti conseguenze in un mercato ancora fortemente caratterizzato da un “modello di remunerazione basato sulle commissioni, dove banche e assicurazioni rappresentano i distributori ai clienti finali più diffusi” in Europa, come in Italia.
Secondo quanto affermato dalla Corte dei Conti Ue, gli incentivi pongono almeno due problemi al cliente finale della consulenza finanziaria: incidono sui costi e influenzano il processo di selezione proposta all’investitore.
“I costi sono costituiti fino a metà da incentivi, che sono ancora consentiti nella maggior parte degli Stati membri”, con l’esclusione dell’Olanda. Da un precedente studio della Commissione Ue, citato dalla Corte, era emerso che “nei Paesi che hanno introdotto un divieto sugli incentivi, le commissioni correnti dei fondi azionari, obbligazionari e misti sono nettamente più basse”.
“Poiché le commissioni rappresentano il principale fattore trainante”, hanno aggiunto i magistrati contabili, “i fondi passivi (compresi i fondi indicizzati quotati), raramente soggetti a commissioni, sono stati tradizionalmente trascurati dalle banche, poco inclini a commercializzare prodotti con onorari bassi”. A supporto di queste affermazioni la Corte dei Conti Ue ha citato un esperimento di “mystery shopping” condotto nel 2017 dalla Commissione, dal quale era emerso che “in ogni Stato membro, consulenti non indipendenti di banche e compagnie di assicurazione proponevano quasi esclusivamente un prodotto interno o una selezione limitata di tali prodotti”. E ancora, un’analisi della Consob francese dalla quale era emerso che i “prodotti come i fondi indicizzati quotati (o altri fondi di investimento a basso costo) non vengono proposti agli investitori al dettaglio, benché palesemente corrispondenti alle loro esigenze di investimento”.
Per chi conosce il mondo della consulenza non si tratta di evidenze particolarmente nuove. L’aspetto interessante, però, è la luce sotto la quale la Corte dei Conti le ha presentate, ricordando come l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) non abbia “assunto una posizione chiara in merito ad un divieto assoluto degli incentivi per tutti i servizi di investimento coperti dalla MiFID”, mentre, “le organizzazioni dei consumatori intervistate dalla Corte sono a favore di detto divieto”.
“La Commissione”, nel frattempo, “sta attualmente esaminando la questione nel contesto della propria strategia dell’Ue per gli investitori al dettaglio”. Quella della della Corte dei Conti appare come una tirata d’orecchi all’Esma e alla Commissione, entrambe invitate a “proteggere meglio gli investitori dai costi indebiti e dalle informazioni fuorvianti”.
L’opportunismo nel domicilio dei fondi
Fra gli altri punti critici emersi dalla relazione non manca la forte concentrazione della domiciliazione dei fondi in una manciata di Paesi Ue il cui recepimento delle direttive Ue si è limitato al minimo necessario. In Italia il 44% dei gestori finanziari nazionali promuove fondi domiciliati all’estero, mentre in Germania tale percentuale è solo del 4%.
“La Corte osserva che le direttive hanno innescato una corsa al ribasso… dalle discussioni avute con i portatori di interessi è emerso che i Paesi che recepiscono semplicemente i requisiti minimi prescritti nelle direttive hanno un vantaggio competitivo come paesi di domicilio rispetto ai Paesi che hanno norme più severe. Insieme a un regime fiscale favorevole e alla possibilità di trasferire gli utili, ciò genera forti incentivi per il settore dei fondi a operare una scelta opportunistica della giurisdizione di competenza, il che comporta distorsioni della concorrenza”.
Risultato: “Nel 2020 quasi l’80 % di tutto il patrimonio gestito netto è amministrato da fondi in Lussemburgo (4 700 miliardi di euro), Irlanda (3 080 miliardi), Germania (2 390 miliardi di euro), Francia (1 970 miliardi di euro) e Regno Unito (1 750 miliardi di euro). Nel caso degli Oicvm, oltre la metà dell’intero patrimonio netto è domiciliato in Lussemburgo o Irlanda. Il 70 % di tutto il patrimonio gestito nell’Unione era detenuto da fondi autorizzati o registrati per la distribuzione in un solo Stato membro”.