Le ondate di volatilità si accompagnano a reazioni senza precedenti da parte di autorità monetarie e governi. Le valutazioni sono elevate, ma per alcuni buoni motivi.
Il lockdown ha imposto un’accelerazione di almeno cinque anni nello sviluppo della digitalizzazione.
Lo scenario più temuto da chi lavora sui mercati è quello di una vittoria schiacciante del partito democratico, in maggioranza al Congresso in entrambe le Camere.
Noi crediamo di si. Le valutazioni sono elevate, ma per alcuni buoni motivi. Primo: non ci sono alternative alle azioni per gli investitori a caccia di ritorni positivi, dato che i tassi sono tornati ai minimi storici. Secondo: molte aziende del tech avanzano su un sentiero di crescita secolare i cui prezzi non riflettono ancora interamente le prospettive di espansione dei profitti. Pensiamo al mondo del cloud computing e alla cyber-security. Per capire la realtà di oggi, dell’economia e dei mercati, dobbiamo utilizzare nuovi paradigmi. E probabilmente dovremmo mettere in discussione alcuni dogmi del passato: è più rischioso – parlando di ritorni attesi – acquistare titoli governativi dei Paesi core o alcuni titoli tech, ben selezionati?
Purché si sia disposti a tollerare, nel breve termine, nuove fibrillazioni. Intanto si avvicinano le elezioni Usa…
Non c’è dubbio: le settimane che precedono il voto saranno accompagnate da un aumento della volatilità.
Per chi tifa il mercato?
Wall Street guarda con favore a una rielezione di Trump. Lo sfidante Biden è favorito nei sondaggi, ma preoccupa gli investitori perché promette un aumento delle tasse per le imprese e i redditi elevati. E vuole aumentare la spesa pubblica. Lo scenario più temuto da chi lavora sui mercati è quello di una vittoria schiacciante del partito democratico, in maggioranza al Congresso in entrambe le Camere. Se i repubblicani, però, dovessero mantenere il controllo del Senato, il quadro apparirebbe meno critico. In ogni caso, noi siamo positivi sul mercato azionario.
Anche sul settore tecnologico, che ha corso già molto?
Si, ovviamente in modo selettivo. Ci sono titoli come Tesla che ormai capitalizzano più di tutte le fabbriche automobilistiche tedesche messe insieme, pur generando solo lo 0,2% degli utili del comparto in Germania. E poi c’è chi, come Amazon, può conquistare ampie quote di mercato ancora inespresse, anche negli Stati Uniti. Ci sono Mastercard, Visa, Paypal: il mondo dei pagamenti offre prospettive molto attraenti. E ancora, Salesforce, nel cloud e Sap nei software gestionali.
Come scegliete i titoli da inserire in portafoglio?
Attraverso un rigoroso processo di analisi che premia le società poco indebitate, che possono vantare significative barriere all’ingresso e brand molto forti, capaci di resistere a temporanee cadute del fatturato, come quella subita nella prima metà dell’anno.
Nomi come…
Nestlè, Unilever, tra i consumi di base. Ma anche nel segmento dei consumi discrezionali: Lvhm ad esempio. Prima della crisi era un po’ cara, abbiamo approfittato del crollo di Borsa, a cavallo tra febbraio e marzo, per comprare. Ci piacciono anche diversi nomi del settore healthcare.
Intanto, nell’obbligazionario, rimangono 15mila miliardi di bond con rendimenti negativi. Si può ancora trovare valore nel reddito fisso?
Sì, nel credito di buona qualità. Selettivamente, tra i fallen angel, società cadute dall’universo investment grade a quello speculativo. E poi nei titoli di debito dei Paesi emergenti denominati in valute forti, dollaro ed euro: qui si può avere ancora accesso a spread interessanti. Dopotutto il debito dei Paesi meno sviluppati è ancora sotto-rappresentato nei portafogli degli investitori globali.
La vostra parola contro quella di altri gestori. Cosa rende il vostro approccio differente rispetto ai competitor, in un’industria affollata di molti operatori, grandi e piccoli, generalisti o iper-specializzati?
Quattro aspetti, in estrema sintesi, ci rendono diversi dagli altri. Dalla fondazione nel 1988 perseguiamo un approccio multi-boutique: questo fa si che i nostri gestori abbiano una piena autonomia nel prendere le decisioni d’investimento che reputano migliori. Significa che non abbiamo un capo degli investimenti globale che detta le coordinate dei portafogli, ma singoli team concentrati sulla performance. Il secondo aspetto riguarda l’azionariato, che è molto stabile: l’azionista di riferimento, la famiglia Vontobel, costruisce il suo percorso di crescita su orizzonti di 20 anni. Questo ci mette nelle condizioni di sviluppare il business seguendo una strategia di lungo termine, senza lasciarci condizionare troppo dai risultati di breve. Terzo punto: i nostri gestori mangiano quello che cucinano: sono totalmente allineati agli interessi dei nostri clienti, perché investono personalmente nei fondi su cui operano. Quarto: in un mercato sempre più complesso dal punto di vista della marginalità, siamo strutturati per realizzare soluzioni ad hoc per i nostri clienti. Attraverso i mandati di gestione, non ci limitiamo a replicare le strategie dei nostri fondi in un veicolo dedicato, possiamo valorizzare le competenze che abbiamo in casa per costruire prodotti personalizzati, ad esempio strutturati per raggiungere un certo target di volatilità, in base alle richieste del cliente. Il nostro obiettivo non è solo distribuire i nostri prodotti, ma realizzare delle vere e proprie partnership, creare nuovi prodotti insieme ai distributori.
Cosa chiedono gli investitori oggi?
Sono sempre più consapevoli. Significa che vogliono capire com’è investito il loro denaro. Il tema della sostenibilità è sempre più centrale.
Ormai si tratta di un argomento “mainstream”. In che modo Vontobel interpreta l’investimento sostenibile e in che termini questo approccio è diverso rispetto ad altri?
Siamo tra i primi firmatari dei Principi per l’Investimento Responsabile, sostenuti dalle Nazioni Unite. Siamo fermamente convinti che l’integrazione tra analisi finanziaria e fattori Esg (Environmental, social, governance) aggiunga valore. Le statistiche lo dimostrano in modo inconfutabile. E d’altra parte i criteri di responsabilità sociale e ambientale offrono un ulteriore strumento di gestione del rischio. Se è efficace, e lo è, perché non usarlo?
Eppure la sensazione è che per molte aziende la sostenibilità si riduca al greenwashing: iniziative di puro marketing non supportate da misure concrete di responsabilità sociale e ambientale.
Per essere efficace, l’investimento sostenibile deve poter contare su un approccio rigoroso, fondato su un lavoro approfondito di ricerca. Noi possiamo contare su un comitato di governance che coordina e monitora l’analisi dei fattori Esg nei diversi approcci all’investimento sostenibile: da quello che utilizza criteri di esclusione, estromettendo alcuni settori dall’universo investibile, all’impact investing, che si concentra sulle attività capaci di esercitare un impatto positivo sull’ambiente e sulla società. Abbiamo assunto anche tre giornalisti investigativi, due negli Stati Uniti e uno in Cina, che ci aiutano a scavare in profondità per trovare eventuali criticità nel business delle aziende sul fronte della responsabilità sociale e ambientale.
Quante sono le masse investite utilizzando filtri di analisi Esg?
40 miliardi, su un totale di 110 miliardi che costituiscono il nostro patrimonio in gestione. Siamo fermamente convinti che questo approccio sia vincente. Sa perché?
Perché?
I business sostenibili sono più resilienti. Anche quando la volatilità sale.