Due anni (22 mesi al momento dell’intervista, agosto 2022) di white gloves, “guanti bianchi”, ovvero la definizione gergale del tutto esaurito in asta. È il record corrente del dipartimento orologi di Phillips (Phillips in Association with Bacs & Russo). Lo guida Aurel Bacs, colui che nell’ottobre 2017 è passato alla storia per aver battuto l’orologio vintage più caro di sempre, il mitico Rolex Daytona di Paul Newman (17.752.500 dollari). Dal 2020 in poi, qualunque sia stata la piazza, virtuale o fisica (Ginevra, New York, Hong Kong) i collezionisti in ogni seduta hanno letteralmente spazzolato via tutti gli orologi a catalogo. “Siamo come una squadra di calcio che non subisce goal da tre stagioni”, ci dice lo stesso monsieur Bacs, con gioia un po’ incredula nella voce. Come si fa a rimanere il numero uno, viene spontaneo chiedergli.
“Lo dice lei che sono il numero uno. Io non l’ho mai detto: meno ci penso meglio è, meno sento la pressione. Il nostro lavoro non è definito dai record mondiali o da quante volte facciamo il 100% del venduto. Ovviamente abbiamo degli obiettivi. Storici ed emozionali. A livello economico, è importante sia la soddisfazione dei venditori che dei compratori”. È chiaro che “un orologio invenduto non soddisfa nessuno. Potere soddisfare il 100% della platea dei collezionisti partecipanti all’asta è una bella cosa, da festeggiare: vuol dire che tutti gli orologi hanno passato il test del mercato, che ha condiviso il nostro giudizio sull’oggetto. Abbiamo un principio: non venderemmo mai orologi che non compreremmo per noi stessi o per le persone che amiamo”.
Il Rolex Daytona del 1968 appartenuto a Paul Newman, attualmente l’orologio vintage più caro della storia: 17,8 milioni di dollari nell’ottobre 2017
Per fare un paragone culinario, “è come se nel nostro ristorante si servissero solo piatti che mangeremmo anche noi. Se finiamo tutto vuol dire che il mercato ha avuto fame, ha gradito la nostra selezione e che le nostre stime sono state congrue. Un orologio sovrastimato, per quanto eccelso, non trova acquirenti, come se in un ristorante della Costiera Amalfitana ci offrissero del pesce a 200€: per quanto eccezionale, non lo prenderemmo. Abbiamo la stessa fama di un bravo medico che ha salvato tutti i suoi pazienti più gravi”. L’entusiasmo di Aurel Bacs si fonda su una squadra solida, motivata: “Tutte le persone del dipartimento orologi condividono la stessa passione di lavorare al meglio. La soddisfazione e il sorriso di un cliente che magari sei mesi dopo torna, parlando della sua esperienza ai suoi amici, sono impagabili”.
L’incisione sul retro della cassa: l’orologio fu donato a Paul Newman da sua moglie Joanne Woodward
La passione di Aurel per gli orologi nasce quando – lui dodicenne – accompagnava suo padre, collezionista, alle fiere e ai mercatini. Oggi – 39 anni dopo – quell’amore è ancora intatto. Com’è che a un certo punto è diventato una professione? “Ero uno studente di giurisprudenza a Zurigo, prossimo alla laurea. Un giorno mi capita di leggere un annuncio di una prestigiosa casa d’aste che cercava una risorsa esperta in orologi per Ginevra. Decido di provarci: mal che vada farò l’avvocato. 27 anni dopo sono ancora qui, con lei che mi chiede come si fa a essere il numero uno al mondo”.
Trova che nel collezionismo contemporaneo ci sia una sorta di famelicità, di FOMO (fear of missing out), come nei mercati finanziari?
“Inizialmente i collezionisti di orologi erano solo una nicchia. Ma con l’avvento del nuovo millennio la platea si è allargata per numero e qualità. Se prima noi pazzi innamorati degli orologi eravamo qualche migliaio in tutto il mondo, oggi siamo qualche milione. Un movimento globale. Per definizione, l’offerta vintage è fissa. Così come quella dell’altissima orologeria artigianale: se Philippe Dufour fabbrica annualmente cinque orologi in media, e ogni anno ci sono migliaia di persone che lo vogliono… La pressione al rialzo delle quotazioni è presto spiegata. Senza contare l’effetto influencer su Instagram. La produzione artigianale è limitata: un suo eventuale aumento non è immediato, occorrono anni. Per formare nuove professionalità, per creare nuovi laboratori. È un processo lento, complesso, costoso. I prodotti creati da robot o computer sono moltiplicabili all’infinito. Ma appena occorrono due mani, due occhi e anni di esperienza non si può saltare la coda. Lo stesso ragionamento è applicabile alle borsette Hermes, oggi diventate costosi oggetti da collezione”.
Continueremo allora a essere testimoni di un’impennata dei prezzi?
“Non credo che le turbolenze e i prezzi record visti la scorsa primavera verranno replicati questo autunno, il mercato si sta placando. Si badi che non parlo né di implosione né di crisi: semplicemente, il mercato ha cominciato a ragionare. Un orologio come un Nautilus verde che era a listino per 30.000 dodici mesi fa, questa primavera ne valeva 600.000, ossia oltre 20 volte il listino. Ora ne vale “solo” 10-15 volte. Per chi lo ha pagato 600.000, si tratta di un crollo. Viceversa, chi ha a disposizione i 30.000 euro del listino trova assurdo dover pagare quell’orologio 400.000 euro”.
Riscontra differenze geografiche e anagrafiche fra i collezionisti?
“20 anni fa avrei detto di sì. Oggi il mondo è cambiato. Non c’è più nessuna differenza, siamo un’unica grande comunità grazie ai social. Il linguaggio si è uniformato, siamo tutti molto più simili fra noi”.
Che cosa è che la emoziona ancora, quando si trova davanti a una nuova scoperta?
“Per me è incredibile che ancora oggi, dopo quasi 40 anni in cui non ho fatto altro che cercare, sognare, scoprire e ancora cercare, ogni mattina alle 6 dopo il primo caffè mi dico: che bello, oggi posso andare a lavoro e chissà cosa scoprirò. L’attesa della scoperta è già di per sé qualcosa entusiasmante. Il punto non è quanti ‘milioni facciamo’, ma cosa scopriamo oggi. Anche questa estate abbiamo scoperto qualcosa di straordinario, che sarà protagonista delle aste autunnali. I proprietari a volte si dimenticano di tesori – magari frutto di eredità – che reputano troppo impegnativi, per esempio”.
Quando compone un catalogo d’asta, ci mette dell’intento “educativo” per il collezionista?
“Certo. I nostri cataloghi, dalla A alla Z, sono costruiti con intenzione e attenzione, come un menu: deve esserci il piccante per chi ama i sapori forti, il leggero per chi è attento alle calorie, il piatto creativo per chi osa scoprire. Bisogna evitare la monotonia: il catalogo deve essere come un arcobaleno, ricco di colori e sfumature per raggiungere e soddisfare il più grande numero possibile di collezionisti. Non è costruito a caso. Ciascun orologio proposto è accompagnato sempre da un commento storico, estetico, che ne esemplifica la rarità e ne spiega la valutazione.
Se dico: titanio, carbonio, ceramica, oro, acciaio o silicio, lei cosa sceglie?
“Acciaio. A costo di deludere. Quando per me tutto ebbe inizio – erano gli anni ’80 – gli orologi in acciaio erano meno costosi rispetto agli altri, me li potevo permettere. L’acciaio è robusto, bianco di colore inteso come bianchi possono essere l’oro bianco, il platino. È facile da indossare, non vistoso, più leggero rispetto all’oro. Mi ci sono abituato, si intona alla mia carnagione da svizzero tedesco. È un colore che mi sta meglio rispetto all’oro giallo o rosa. La preziosità di un orologio non sta nel materiale di cui è fatto. Io considero ancora oggi il segnatempo un miracolo di ingegneria. Certo, so che un orologio prezioso meriterebbe di essere incassato in un materiale prezioso. Ma non è la cosa più importante. L’acciaio è perfetto in tal senso. Il vero valore di un orologio non è quasi mai la cassa. È sempre la meccanica, con le sue dimensioni, con le sue complicazioni. La cassa serve per proteggere il meccanismo e il quadrante. Il mio istinto va verso l’acciaio”.
Quindi l’acciaio sopravvivrà sempre, anche nel vintage del futuro?
“Questo non possiamo dirlo, potrebbe anche darsi che le ricerche scientifiche scovino materiali sempre più resistenti ai graffi e alle condizioni estreme, chissà”. Quindi vinceranno i Richard Mille? “Non sono una persona modaiola, ma seguo questi orologi con la massima curiosità, attenzione e rispetto”.
Chissà se un giorno ci saranno gli Apple Watch, gli iWatch nei cataloghi delle aste più prestigiose… È azzardato da dire?
“No di certo. Già alla mia epoca c’era il collezionismo degli Swatch. Si pensi alle opere d’arte: fino a un centinaio di anni fa erano considerate tali solo quelle in marmo, tela, olio, tempera. Poi sono arrivati altri media e supporti, come i video, oggi gli nft. Il mondo del collezionismo non si ferma mai. Il primo Mac fatto a mano da Steve Jobs e dai suoi soci è stato venduto per milioni di dollari. Sarebbe sbagliato escludere che nuovi materiali e concetti faranno parte delle aste future. Dico di più: dovrebbero entrare anche nei musei. Al giorno d’oggi un museo dell’orologeria dovrebbe esporre anche un Apple Watch”.
Ha nominato gli nft. Come li considera in quanto sistema di certificazione per l’orologeria?
“Per il vintage al momento non li vedo funzionanti. Mi spiego: se applicati a orologi di nuova produzione sono perfetti (Hublot e Tag Heuer lo fanno). Non ha invece molto senso abbinare un non fungible token a un orologio di 50 anni fa, già con una sua storia alle spalle. Non ho ancora visto al momento vantaggi generati dall’aver appaiato un nft a un segnatempo d’annata”.
Per lei la passione per gli orologi è una questione di famiglia. Le deriva da suo padre; la sua socia Livia Russo è anche sua moglie. Quanto questo legame ha influito positivamente sulla sua attitudine e sulla sua professionalità? si colleziona e si vende meglio in due?
“L’influenza è stata ed è fortissima, sia a livello professionale che privato. Tanti collezionisti sono diventati amici e tanti amici sono diventati collezionisti. Le vacanze, i weekend, sono piacevoli momenti di vita all’insegna dell’orologeria. A livello familiare e caratteriale ci si compensa, ci si fa forza a vicenda se occorre far le ore piccole. Il pensiero di non avere a casa una persona con una professione diversa dalla propria ad attendere, fa la differenza”.
Alla luce delle inquietudini finanziarie correnti, cosa potrebbe riservare l’orologio in quanto asset nei prossimi mesi?
“Non ho la palla di cristallo, ma in tempi di crisi l’orologio si è difeso sempre meglio dei mercati azionari, quasi fosse una valuta rifugio. Ha storicamente performato molto bene. Se dovessi dare un consiglio, direi di comprare sempre oggetti di qualità. Per fare un paragone culinario: dovendo scegliere se comprare un merluzzo fresco a 50 euro o uno surgelato a 10, si compri quello a 50, perché ci sarà sempre qualcuno con 55 euro pronto a ricomprarlo. La qualità, intesa come condizione, originalità, prestigio, provenienza, sopravvive meglio ai momenti di turbolenza. Basti pensare che in questo momento i più grandi collezionisti stanno cercando di comprare e non di vendere”.