Nato nella tempesta
La storia del Royal Oak ha inizio durante due crisi a cavallo tra gli anni sessanta e settanta: quella finanziaria che piegò le economie di tutto il mondo e quella del Quarzo che piegò le Maison europee, dedite alla produzione di orologi a movimento meccanico. Tra queste c’era anche Audemars Piguet, che per effetto di entrambe le crisi, stava affrontando delle condizioni finanziarie estremamente difficili. Al calo delle vendite si poteva rispondere solo adattandosi alle nuove esigenze del mercato. Cosa che la manifattura di Le Brassusfece. Si narra che il nuovo orologio fu concepito dalla sera al mattino. Georges Golay, l’allora amministratore delegato della casa ginevrina, informato della forte richiesta di orologi in acciaio che arrivava dall’Italia e con la celebre mostra di orologeria di Basilea alle porte, incaricò il designer Gerald Génta di fargli pervenire sulla sua scrivania la mattina seguente il concept di un segnatempo rivoluzionario che potesse rispondere alle nuove esigenze del mercato.

A servizio di Sua Maestà
Il Royal Oak venne presentato nell’aprile del 1972 durante l’annuale Swiss Watch Show, oggi BaselWorld. Il suo nome richiamava quello di una serie di otto navi – da qui il fatto che la lunetta è ottagonale) – della Royal Navy brittanica, che a sua volta faceva riferimento all’antica quercia (Oak, in inglese) all’interno della quale, si narra, il re Carlo II d’Inghilterra si nascose per fuggire ai Rounhead – coloro i quali sostenevano il Parlamento durante la Guerra Civile Inglese – all’indomani della battaglia di Worcester del 1651. Genta inoltre, come fece per il Patek Philippe Nautlilus, si ispirò agli oblò del casco di un palombaro. Il risultato fu un orologio in acciaio dalla lunetta ottogonale fissata da otto viti esagonali in oro visibili, quadrante ornato da un esclusivo motivo “petit tapisserie” blu. L’orologio era sottile (7mm) ma piuttosto grande per l’epoca avendo un diametro della cassa di 39 mm. A completare l’orologio, un bracciale integrato e molto complesso da costruire in acciaio inossidabile, opera della Gay Fréres, azienda tra le più famose negli anni sessanta.

Un orologio audace
Il Royal Oak fu presentato al pubblico al prezzo di 3300 franchi svizzeri, l’equivalente di 700 mila lire, il che lo rendeva più costoso di un orologio d’oro Patek Philippe e più di dieci volte il costo di un Rolex Submariner. Il messaggio lanciato dalla manifattura di Le Brassus era chiaro e audace al contempo: tra l’alta orologeria c’era spazio anche per orologi sportivi non necessariamente impreziositi da metalli preziosi. Design, precisione dell’esecuzione e qualità del movimento dovevano essere i reali valori di un orologio. Nei primi anni ’90 il designer Emmanuel Gueit avvalorò ancor di più questa proposizione di Audemars Piguet, proponendo il Royal Oak Offshore, dall’aspetto ancor più sportivo. Una scommessa ancora una volta azzeccata dato che l’Offshore ad oggi risulta essere la linea della Maison più venduta.
