L’accesso preferenziale per l’Italia: l’investor visa corre veloce

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Introdotto dalla legge di Bilancio 2017, l’investor visa rappresenta uno dei principali strumenti dediti alla crescita dell’attrattività italiana agli occhi del capitale umano e finanziario situato all’estero. Ma quali sono realmente le modalità e i vantaggi connessi a tale fattispecie?

L’investor visa, o visto per investitori esteri, è stato inserito nel quadro normativo nazionale ormai cinque anni fa con l’intento di semplificare l’ingresso e il soggiorno per periodi superiori a tre mesi a tutti quei soggetti disposti a investire in Italia che, tuttavia, non sono cittadini di uno dei ventisette stati membri dell’Unione europea o dell’area Schengen.
L’intento, che soggiace all’introduzione del visto investitori, è quindi ricollegabile alla esigenza strategica di attrarre nella penisola soggetti a elevata patrimonialità capaci di fornire il proprio contributo alla crescita economica del paese attraverso l’immissione di capitali.

Alla luce dell’attrattività senza eguali vantata dall’Italia all’estero, l’istituzione di un canale preferenziale per l’ingresso dei cosiddetti High net worth individual (Hnwi) non può che essere considerato come un’azione doverosa in grado, potenzialmente, di rappresentare un vero e proprio driver per il progresso del paese.
In virtù delle modifiche apportate nel corso del 2020, i soggetti a oggi intitolati a richiedere il visto investitori sono i cittadini stranieri intenzionati a investire sia il proprio capitale, sia tramite veicoli societari di cui sono legali rappresentanti.

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Gli investimenti che garantiscono la possibilità di accedere all’investor visa sono, alternativamente:
(i) l’acquisto di almeno 2 milioni di euro di titoli di Stato italiani (Ctt, Ctz, Btp etc..) mantenuti per un minimo di 2 anni;
(ii) la donazione a carattere filantropico, pari almeno a 1 milione di euro, a sostegno di progetti di interesse pubblico nei settori italiani della cultura, istruzione, gestione dell’immigrazione, ricerca scientifica, recupero di beni culturali e paesaggistici
(iii) l’acquisto di almeno 500 mila euro di strumenti rappresentativi del capitale di una società costituita e operante in Italia mantenuti per un minimo di due anni ovvero di almeno 250 mila euro nel caso tale società sia una startup innovativa.

In merito all’effettuazione dell’investimento, punto cardine dell’intera disciplina, risulta necessario precisare che quest’ultimo non può essere frazionato in più investimenti e, allo stesso tempo, non può precedere l’apertura della procedura di ottenimento del visto.

La digitalizzazione, caratterizzante l’intera procedura di rilascio, consente al richiedente di agire da remoto in totale autonomia, senza recarsi fisicamente presso gli uffici dell’amministrazione, se non alla fine del procedimento per il ritiro del visto. Ciò è reso possibile dallo sforzo organizzativo profuso dal Comitato investor visa for Italy, organo inter-istituzionale appositamente istituito con lo scopo di semplificare la gestione delle istanze e punto di contatto tra il richiedente e la pubblica amministrazione.

Il procedimento si apre quindi con l’invio, attraverso l’apposito portale “investorvisa.mise.gov.it”, della domanda di nulla osta all’emissione del visto corredata dalla documentazione necessaria a dimostrare, tra le altre, la titolarità degli importi minimi previsti, la trasferibilità e la lecita provenienza delle risorse finanziarie nonché la precisa intenzione di investire o donare le stesse entro tre mesi dalla data di ingresso in Italia.

Il set documentale si compone di un format semplice e prestabilito, accessibile anche in lingua inglese, redatto in modo tale da guidare passo per passo il richiedente nella comunicazione delle informazioni e, soprattutto, nel caricamento della documentazione di supporto.

Nel termine di 30 giorni dalla presentazione della candidatura il Comitato investor visa for Italy comunica parere favorevole o contrario al rilascio del nulla osta con validità semestrale; in caso di risposta affermativa, sono rilasciati – su richiesta dell’interessato – il visto investitori e, una volta entrato in Italia, il permesso di soggiorno con durata biennale.

Il tempo di emissione così ridotto rappresenta un elemento di rottura rispetto alle procedure standard capace di accrescere in modo significativo la fruibilità e l’attrattiva del visto nei confronti di tutti i soggetti, specialmente non lavoratori, desiderosi di insediarsi in Italia evitando le lungaggini burocratiche normalmente connesse alle altre opzioni d’ingresso.

Il visto risulta revocabile prima della scadenza qualora l’investimento o la donazione in oggetto non vengano effettuati nei tre mesi successivi all’ingresso in Italia ovvero l’investimento sia dismesso prima del termine di due anni. Al contrario, nel caso in cui l’investimento venga mantenuto oltre la scadenza, il permesso di soggiorno investitori è rinnovabile per periodi ulteriori di tre anni.

Il titolare del permesso, inoltre, gode di un trattamento favorevole in quanto sono a esso riconosciuti i medesimi diritti attribuiti ai possessori di un permesso di soggiorno in qualità di lavoratori autonomi e, per i 5 anni successivi al primo rilascio, l’investitore è esonerato dagli obblighi di soggiornare continuativamente in Italia nonché di apprendere la lingua e la cultura italiana, vincoli che normalmente trovano applicazione poiché previsti dal generale accordo di integrazione. Inoltre, l’investitore può consentire ai propri familiari di usufruire dell’istituto del ricongiungimento, così che a essi sia rilasciato un visto per motivi familiari con il quale accedere al Belpaese.

Alla grande libertà personale concessa all’investitore, è possibile affiancare l’opportunità di natura fiscale di avvalersi del regime dei cosiddetti neo-residenti anch’esso introdotto dalla legge di Bilancio 2017. Infatti, qualora il titolare del permesso di soggiorno investitori non sia stato residente in Italia per nove degli ultimi 10 anni può optare per l’assoggettamento a un’imposta sostitutiva annuale pari a 100 mila euro sulla totalità dei redditi prodotti all’estero.

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