Dopo le quotazioni record di Snowflake e di Doordash arriva quella di Airbnb: 113% il rendimento in un giorno del titolo che vale già 86 miliardi di dollari (quanto Jp Morgan)
Secondo Stefano Turlizzi, gestioni individuali e analisi quantitativa di Cassa Lombarda, l’entusiasmo dietro queste performance monstre potrebbero celare una bomba a orologeria
Numeri da bolla dotcom
A un’analisi non superficiale si direbbe che è più probabile il secondo scenario. Stando ai dati riportati dal Financial Times la performance registrata da Airbnb l’11 dicembre ha solo tre precedenti storici risalenti a vent’anni fa: Palm Inc, Corvis Corp e Infineon, che guadagnarono tra il 120 e il 150%. Allora era il 2000 e nel giro di poche settimane l’euforia verso il futuro tech si trasformò in un bagno di sangue. A preoccupare gli analisti altre due osservazioni. In primis il fenomeno va ben oltre Airbnb: nella top 10 delle quotazioni migliori di sempre ben cinque risalgono a quest’anno. In secondo luogo nel 2020 le Ipo hanno generato un valore di 150 miliardi, per la prima volta superando quanto fatto nell’anno horribillis. Ci risiamo?
Ma la sopravvalutazione non tange solo le matricole del mercato. Anzi. “Tesla, il cui multiplo è di 13, tra pochi giorni entrerà nell’S&P500. Il p/e del principale indice azionario americano si alzerà di 5 punti”. Insomma per Turlizzi siamo vicini alla follia che si celavano dietro alla bolla dotcom. “Allora una società solo per aver nel proprio nome la dicitura net, pur non centrando in alcun modo con la tecnologia, volava in borsa” spiega Turlizzi riferendosi a Basicnet, società italiana d’abbigliamento che nel 2000 era sull’orlo del fallimento.
Anatomia di un mercato malato
Di fronte a questi numeri l’atteggiamento razionale sarebbe adottare una posizione di vendita su queste azioni dopate. Tuttavia non è così semplice, neanche per chi questo mestiere lo fa da anni. Il motivo è che per avere ragione ci vuole del tempo e la gente, quando è in perdita, non è disposta ad aspettare. “C’è un meccanismo perverso: queste visioni ribassiste, che hanno molte fondamenta, si possono realizzare in tempi che non sono compatibili con le esigenze dei clienti. Puoi decidere di perdere soldi nel breve solo fintanto che gli investitori non se ne vanno” spiega Turlizzi. Oltre all’aspetto retail inoltre i corsi sono sostenuti, a discapito delle valutazioni, dalla grande prevalenza della gestione passiva. “Quando si ha un benchmark da seguire si è quasi forzati ad acquistare queste società a grande crescita. Il peso sull’indice inoltre ha ben poco margine di cambiamento per via del fatto che gran parte del mercato investe tramite Etf: se tutti investono in ugual modo i rapporti tra i titoli non cambieranno mai”.
Tassi bassi, buyback e saturazione
Tassi bassi e il buyback all’americana poi aggravano ancora di più questo scenario. “Ad oggi il 60% dei bond a livello mondiale è a tassi negativi e ciò crea inevitabilmente un contesto favorevole per l’azionario. A livello di singole società poi, almeno negli Stati Uniti, quest’ultime cercano di rendersi più appetibili al mercato. Non conteggiando le azioni riacquistate tramite i piani di buyback aumentano in modo artificiale gli utili per azioni”. Infine a corredo di questo quadro non proprio roseo c’è il tema della saturazione di mercato. “Il mercato già saturo. Gli indici fear and greed e i put/call ratio sono a un livello di ottimismo molto elevato: le bolle scoppiano non quando la gente vende ma quando non ci sono più compratori marginali”.
I fattori di scoppio
Se questa dunque è l’anatomia del mercato azionario odierno, quali potrebbero essere i fattori che potrebbe accendere la miccia? Secondo Turlizzi principalmente due. “Il primo fattore è il rialzo dei tassi, a cui il mercato è molto sensibile come si è già visto nel dicembre del 2018 quando alla Fed i mercati hanno risposto con un ribasso molto profondo. Il secondo invece sono i Faang. Un’eventuale imposizione dello spacchettamento di queste società, come sembra essere nelle intenzioni del governo americano, farebbe calare il prezzo di queste società e con sé gli indici tecnologici e tutto il mercato”
Non far di tutta l’erba un fascio
Al netto di tutte queste valutazioni rimane un fatto: ora come allora il futuro è tech. Per questo fare di tutto l’erba un fascio sarebbe approssimativo. Diventa dunque cruciale andare a capire quali sono le realtà che plasmeranno il domani. “Nel 2000 si investiva sul nulla. Oggi la componente di mercato tecnologica è molto cara ma anche molto più solida. Bioteconologie, telemedicina e cyber security sono esempi di questo” spiega Turlizzi che conclude: “Sono negativo invece sulle macchine elettriche per via del fatto che le batterie sono carissime. In Cina, a tendere il primo mercato per le macchine elettriche, la quota di mercato dell’elettrico è allo zero virgola”.