Questo articolo è tratto dal numero di giugno del magazine We Wealth
Due recenti risposte dell’Agenzia delle Entrate a istanza di interpello tornano ad affrontare il tema dell’interposizione societaria, offrendo nuovi spunti interpretativi su quando una società debba considerarsi fiscalmente “interposta” e i beni/redditi della stessa essere imputati direttamente in capo ai soci interponenti.
Il primo caso, affrontato nella Risposta n. 274/2022, riguarda una limited partnership delle Isole Cayman, partecipata dai manager di un gruppo attivo nella gestione di fondi d’investimento e avente ad oggetto la detenzione di quote di un fondo d’investimento alternativo lussemburghese. Secondo uno schema tipico del settore del private equity, la partnership è controllata (tramite un general partner) dal gruppo presso cui i manager operano e ha la finalità di consentire una gestione unitaria dell’investimento imponendo una governance unitaria.
Il secondo caso, di cui alla Risposta n. 282/2022, ha a oggetto una società a responsabilità limitata di diritto del Regno Unito (ivi fiscalmente residente e ordinariamente soggetta a corporate tax), costituita da un cittadino britannico, all’epoca della costituzione residente nel Regno Unito e poi trasferito in Italia. La società, amministrata prima dal socio e poi dalla madre, è una società holding che detiene i diritti di sfruttamento economico dell’immagine e i diritti di sponsorizzazione del socio (al quale nulla viene corrisposto per lo sfruttamento di tali diritti); una partecipazione del 50% in un’altra società e i crediti finanziari fruttiferi e infruttiferi di varia natura.
L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto come “non interposta” la partnership delle Isole Cayman e come “interposta” la società britannica. Dalle motivazioni contenute nelle due risposte è possibile evincere come, secondo l’Agenzia, al fine di escludere l’interposizione di un veicolo societario rilevino in modo particolare due aspetti. Innanzitutto, la coerenza del veicolo societario con gli obiettivi economici che si intendono raggiungere.
Nel primo caso, l’Agenzia ha osservato che “Lo schema societario è coerente con la scelta del gruppo di prevedere che i propri manager investano in Fia (fondi d’investimento alternativi ndr) indirettamente, attraverso un’unica società” mentre nel secondo caso ha constatato che “Seppure in linea teorica la società sembra costituita per svolgere diverse attività allo stato attuale non ha operato alcun investimento rilevante” e che “non è definita con chiarezza l’attività della società”. Il secondo elemento è la presenza di una struttura organizzativa-gestionale idonea a far considerare la società come un soggetto economico distinto rispetto ai soci. Mentre nel caso della partnership delle Isole Cayman, l’Agenzia ha rilevato come sotto il profilo amministrativo la società è amministrata dal general partner e i soci non hanno da soli poteri di controllo, nel caso della società britannica, l’Agenzia ha ritenuto essere solo formale l’autonomia gestionale della società interamente partecipata da un socio e amministrata da un soggetto appartenente alla sua sfera familiare.
Ai fini delle conclusioni contenute nelle due Risposte, sembrerebbero invece aver avuto peso molto più limitato altri elementi quali: l’assenza di struttura in termini di personale e uffici (che sembra essere accettata dall’Agenzia nel caso della partnership di Cayman), l’assenza di obblighi contabili, il fatto che la società sia fiscalmente trasparente e non paghi alcuna imposta. Peraltro, in caso di interposizione, proprio il pagamento di imposte da parte della società può determinare fenomeni di doppia imposizione non automaticamente risolvibili con il meccanismo del credito d’imposta. Nella Risposta n. 282/2022, l’Agenzia ha affermato che spetta in capo al socio interponente il credito per la corporation tax assolta dalla società interposta nel Regno Unito, “esclusivamente con riferimento ai redditi di fonte Uk” e non anche ai redditi prodotti in altri Paesi.
(Hanno collaborato Andrea Gallizioli e Paolo Giuriani)