- Il rendimento netto annuo di un investimento immobiliare si attesta mediamente tra il 2,3% e il 3,7%. Rendimenti di questo tipo sembrano sconsigliare l’idea di effettuare un mutuo per acquistare una casa da mettere successivamente a reddito
- Carbone: “Al di là dei rendimenti, quando ci si pone la domanda se per vivere al meglio gli anni della propria longevità sia da preferirsi un investimento immobiliare o un fondo pensione, è necessario riflettere sulle diverse caratteristiche dei due strumenti”
Una delle alternative per costruire un’entrata supplementare in vista della pensione è investire nel mattone, ovvero acquistare un immobile al fine di metterlo a reddito. Ma quanto rende una casa in affitto? We Wealth lo ha chiesto a smileconomy (società indipendente di ricerca e consulenza finanziaria, assicurativa e previdenziale) che ha analizzato la banca dati dell’Agenzia delle entrate per stimare il rendimento netto annuo di un investimento immobiliare, considerando il costo d’acquisto – inclusivo di tasse, notaio e intermediario – e quello di affitto al metro quadro al netto di Imu e cedolare secca.
Quanto rende affittare casa da Milano a Napoli
“Il database dell’Agenzia delle entrate è estremamente dettagliato, fino a scendere al livello della singola via”, spiega Andrea Carbone, divulgatore, economista, formatore e ideatore di smileconomy. “Se da un lato è un valore, dall’altro rende più complesso identificare i valori medi rappresentativi per tutte le realtà. Abbiamo dunque evidenziato sei vie di sei capoluoghi di provincia: Napoli, Milano, Roma, Novara, Taranto e Livorno”. Quello che è emerso è che il rendimento netto medio si attesta tra il 2,3% del Vomero Alto a Napoli e il 3,7% di Rione Garibaldi a Livorno, passando per il 2,5% di Milano, il 2,8% di Roma, il, 2,9% di Novara e il 3,3% di Taranto.
Mutuo: comprare casa per affittarla conviene?
“Rendimenti di questo tipo, tendenzialmente inferiori all’attuale Euribor a 3 mesi, sembrano probabilmente sconsigliare l’idea – almeno in questa fase – di effettuare un mutuo per acquistare una casa da mettere successivamente a reddito: troppi costi nel mezzo e differenziale di rendimento che si recupererebbe nel lungo periodo”, osserva Carbone. Dopo aver realizzato un ipotetico confronto “alla pari” con i rendimenti dei fondi pensione in un precedente approfondimento, proviamo ora a riflettere sulle diverse caratteristiche dei due strumenti da considerare per identificare la soluzione più adatta alle proprie esigenze.
Pro e contro di immobili e fondi pensione
Innanzitutto, l’investimento richiesto. “Per un investimento immobiliare – salvo che nel caso di mutuo (che, come visto, al momento non appare particolarmente conveniente) – è per definizione necessaria l’intera somma. Con un fondo pensione, invece, l’accumulo per gli anni della longevità può essere fatto man a mano. Non è un caso se il limite di deducibilità fiscale sia di 5.164 euro all’anno: con i fondi pensione l’approccio è di risparmio progressivo. Diverso è, naturalmente, se l’immobile sia stato ricevuto in eredità”, spiega Carbone. Poi c’è il tema dei rischi. Un fondo pensione ha un numero limitato di rischi nel corso del periodo di accumulo, racconta l’esperto: l’andamento dell’investimento, l’aggiornamento delle tavole demografiche (che diminuiscono il valore della rendita vitalizia se l’attesa di vita aumenta) e le variazioni della fiscalità. Un investimento immobiliare è invece più articolato in tema di rischi. C’è da considerare la stabilità del canone di affitto, ovvero se l’inquilino paga e se l’immobile resta sfitto e per quanto; ci sono poi le spese condominiali straordinarie, come per il rifacimento della facciata o il consolidamento della struttura; e, come con i fondi pensione, c’è la variabile fiscale, qui in forma di Imu, cedolari ed eventuali imposizioni straordinarie.
“Diversa è poi la flessibilità nel durante”, dice Carbone. “I fondi pensione consentono anticipazioni in varie casistiche previste dalla legge (fino al 75% per spese sanitarie, fino al 75% per acquisto/ristrutturazione casa, fino al 30% per qualunque motivo); un immobile invece è poco liquido e difficilmente frazionabile se si avesse un’esigenza di liquidità (salvo soluzioni ‘estreme’ come la nuda proprietà o simili)”. Senza dimenticare il rischio longevità. “Qui naturalmente i fondi pensione danno il meglio di sé: per definizione, offriranno una rendita vitalizia sulla quale poter contare per tutta la vita”, afferma Carbone. I canoni immobiliari, al contrario, sono esposti ai rischi appena visti, che non sempre li rendono definibili come “entrate certe”. C’è quindi da valutare l’impatto per il pensionato delle mancate entrate immobiliari e di eventuali spese straordinarie.
Sulla successione vince l’immobile
Quando intervengono poi finalità successorie, lo scenario si inverte. “Quanto accaduto negli ultimi anni mette in dubbio che il valore di rivendita di un immobile segua necessariamente l’inflazione, ma qualcosa viene lasciato di sicuro agli eredi”, racconta Carbone. In un fondo pensione invece, nel momento in cui si viene a mancare, “sparisce” il capitale: è il meccanismo della mutualità all’interno dei fondi pensione (e anche dell’Inps) che consente a chi vive a lungo di beneficiare delle quote “non consumate” da chi vive meno della media. “Naturalmente nei fondi pensione esistono opzioni di rendita con reversibilità (con importi più bassi rispetto alle rendite tradizionali) o la possibilità di avere al momento della pensione il 50% in capitale e il 50% in rendita ma, se ci sono finalità successorie, l’immobile sembra prevalere”, dichiara l’esperto.
Qual è più semplice da gestire?
L’ultimo aspetto da considerare riguarda la semplicità di gestione. La rendita vitalizia erogata da un fondo pensione, dice Carbone, non richiede particolari sforzi: viene accreditata sul conto corrente. Un immobile invece va gestito. C’è la parte commerciale (trovare potenziali inquilini), quella amministrativa (relativa ai contratti e alla fiscalità), quella di gestione ordinaria (tra assemblee condominiali ed eventuali lamentele dei vicini per gli affittuari, per esempio) e quella straordinaria (come la sostituzione di caldaie ed elettrodomestici). “A 70, 80 o 90 anni ci sarà sempre l’energia e la lucidità per gestire tutti gli aspetti?”, domanda Carbone. “Quando la risposta è no, occorre delegare, salvo che ci siano dei figli a supportare. Ma delegare la gestione a professionisti significa aumentare i costi e abbattere la redditività”. In sintesi, conclude l’esperto, l’analisi della convenienza economica è solamente uno dei tasselli. “Le considerazioni di cui sopra vanno effettuate – e magari condivise con un professionista – al fine di identificare la soluzione o il mix di soluzioni più coerenti con le proprie necessità oggettive e soggettive per gli anni della longevità”.