Il monopolio delle fondazioni e la libertà di espressione: un nuovo caso francese

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La fondazione è la sola a potersi esprimere sull’autenticità di un’opera dell’artista che rappresenta? Una nuova vicenda relativa a un diniego di autenticazione espresso dall’Amministrazione Picasso fornisce ulteriori spunti di riflessione

Fondazioni e libertà di espressione: prologo 

Un chirurgo americano nel 2019 ha acquistato presso una galleria in Arizona una gouache su carta di Picasso intitolata Portrait de femme au chapeau per un prezzo di 300.000 dollari. L’opera risulta firmata e dedicata dall’artista, ed è accompagnata da una sua lettera autografa. Dopo l’acquisto, il collezionista ha contattato l’Amministrazione Picasso, in persona di Claude Ruiz-Picasso, figlio dell’artista ed amministratore della omonima comunione ereditaria indivisa dei diritti di proprietà intellettuale riconducibili a Picasso per ottenere un parere sull’autenticità dell’opera. L’Amministrazione Picasso è stata creata nel 1995 da Claude Ruiz-Picasso per proteggere e controllare l’utilizzazione del nome, dell’immagine e dell’opera di Pablo Picasso. Come risulta dal sito, l’amministrazione Picasso “autorizza, rifiuta, controlla ed incassa i proventi dei diritti relativi alle opere di Picasso in nome e per conto della comunione ereditaria” dell’artista. A seguito del rifiuto da parte del figlio di Picasso, il collezionista lo ha citato in giudizio chiedendo un risarcimento dei danni per un ammontare pari a 9 milioni di euro, oltre ad una consulenza tecnica per l’autenticazione dell’opera e l’autografia della lettera. Il 23 novembre 2022 la Corte d’Appello di Parigi ha rigettato le domande del collezionista condannandolo al risarcimento di 8.000 euro per lite temeraria (procédure abusive). Secondo la Corte parigina, non rientra tra i compiti dell’autorità giudiziaria pronunciarsi sull’autenticità di un’opera d’arte. Ruiz-Picasso, a causa dei suoi rapporti diretti con l’artista, potrà anche essere ritenuto una voce particolarmente qualificata per esprimersi sull’autenticità dell’opera, ma non detiene alcun monopolio sull’attività di autenticazione, poiché ognuno può esprimere un’opinione sull’autenticità di un’opera d’arte a condizione di averne la competenza e che tale competenza sia riconosciuta dal mercato dell’arte.

Giuseppe Calabi

La sentenza francese oggetto del nostro dialogo appare in linea con un orientamento diffuso anche in Italia: non è compito del giudice esprimersi sull’autenticità di un’opera d’arte. In particolare, la giurisprudenza italiana precisa che non può essere oggetto di una domanda giudiziale esclusivamente l’accertamento di un fatto, quale l’attribuzione di un’opera ad un artista. Questo accertamento non comporta alcuna utilità aggiuntiva al proprietario di un’opera, in quanto il giudice, normalmente supportato da un consulente tecnico, esprimerebbe un’opinione che ha pari dignità rispetto a quella espressa da colui che abbia negato l’attribuzione di un’opera ad un artista. L’autenticità di un’opera può essere oggetto di accertamento solo se è funzionale alla tutela di un diritto fatto valere in giudizio: ad esempio, l’inadempimento da parte di un venditore della garanzia di autenticità espressamente dedotta nel contratto.
Lo stesso principio permea la decisione della Corte d’Appello di Parigi: il figlio dell’artista potrà anche essere ritenuto un interprete particolarmente qualificato dell’opera del padre, ma non detiene un monopolio sull’attività di autenticazione, perché ognuno è libero di esprimersi in tal senso. La sentenza francese appare in linea con un noto precedente del 2014 della Corte di Cassazione d’oltralpe, in un caso nel quale il proprietario di un quadro del pittore Jean Metzinger, (1983-1956), La maison blanche, citò in giudizio Bozena Nikiel, esperta dell’artista e titolare dei diritti morali relativi alla sua opera, nonché autrice del catalogo ragionato in corso d’opera. Di fronte al rifiuto della Nikiel di inserire l’opera nel catalogo ragionato, il proprietario le fece causa, ma la Corte di Cassazione riformò la sentenza della corte inferiore nella quale l’autrice era stata condannata a rilasciare un certificato di autenticità e a inserire l’opera nel catalogo ragionato, stabilendo che in base all’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo la libertà di espressione costituisce un diritto assoluto che non può essere soggetto ad alcuna restrizione, anche nel caso in cui l’opinione dell’autrice di un catalogo ragionato sia stata espressa in modo negligente. La sentenza della corte francese è stata commentata molto positivamente dalla comunità degli studiosi, per i quali il rischio di essere condannati ad un risarcimento dei danni nel caso in cui rendano un’opinione negativa rappresenta un forte deterrente rispetto alla propria libertà di studio e di ricerca. La stessa sentenza dovrebbe essere considerata come un precedente anche in Italia, se si pensa che – come abbiamo commentato nel nostro ultimo dialogo – recentemente la Corte d’Appello di Milano ha condannato la Fondazione Lucio Fontana ad inserire nel proprio catalogo ragionato un’opera che la fondazione aveva rifiutato di inserire, in quanto – malgrado non fosse contestata l’autenticità – a seguito di un cattivo restauro, la stessa, a parere della fondazione, non meritasse di essere riconducibile al catalogo delle opere dell’artista. 

Sharon Hecker 

Il pattern è ricorrente: un collezionista si rivolge a una fondazione per ottenere un certificato di autenticità, che viene rifiutato e ricorre al tribunale. Il giudice respinge la domanda in virtù della garanzia della libertà di opinione e del fatto che i tribunali non sono la sede per le autenticazioni. Come sappiamo, anche se tutti hanno il diritto di esprimere la propria opinione, il mercato dell’arte e i musei tendendo ad affidarsi ai pareri di archivi e fondazioni per le opere d’arte realizzate nel XIX, XX e XXI secolo piuttosto che a quelli di studiosi indipendenti. Se un collezionista, per un caso fortunato, vince la causa o trova un secondo parere che sostiene l’attribuzione, la causa diventa una battaglia tra esperti ed il suo esito non migliorerà la commerciabilità dell’opera o la possibilità di esporla.
Vorrei proporre una strada diversa. A mio parere, quando viene alla luce un’opera precedentemente sconosciuta, la miglior cosa per gli studiosi, gli archivi e le fondazioni è di riunirsi per discutere un dubbio sull’attribuzione in una giornata di studio. Un esempio è la prima conferenza annuale sul Salvator Mundi, tenutasi di recente presso l’Università di Lipsia per discutere della mutevole e controversa attribuzione a Leonardo da Vinci. Come disse una volta lo storico dell’arte Kenneth Clark, “La politica della ricerca su Leonardo è come qualsiasi altra politica, tranne per il fatto che finora non è stato versato sangue”.
Alla conferenza hanno partecipato studiosi e altre parti interessate provenienti da musei, mercato e giornalismo, in un forum pubblico piuttosto che un incontro a porte chiuse. L’ambiente universitario era neutrale, un aspetto importante per evitare possibili conflitti di interesse. Nessuna voce autorevole è stata esclusa (alcune non hanno potuto partecipare). Infine, la conferenza si è svolta in “un’atmosfera aperta e collegiale”, la chiave per qualsiasi discussione pacata sull’attribuzione. Per coloro che hanno scelto di partecipare, c’è stato un uguale onere della prova. La discussione verteva sulla dimostrazione se il dipinto fosse “più probabilmente che non” attribuibile all’artista. Alcuni di coloro che inizialmente ritenevano che l’opera fosse di Leonardo hanno modificato le loro opinioni al momento della conferenza, mentre altri hanno dimostrato le ragioni per cui ritenevano che l’opera fosse in gran parte dell’allievo di Leonardo Antonio Boltraffio o di Bernardino Luini o fosse stata eseguita in gran parte da assistenti. Lo stesso Zöllner ha ammesso che alla fine della conferenza era meno favorevole all’attribuzione leonardesca di quanto non avesse inizialmente sostenuto, e per questo è stato fondamentale mantenere una mentalità aperta. Alison Cole dell’Art Newspaper ha concluso il suo resoconto sottolineando l’importanza di continuare a discutere del dipinto con “un uguale mix di tolleranza e profondità”. Il forum di una conferenza mi pare un modello eccellente per valutare la qualità e la persuasività di ogni prova. In questo modo non contano solo la reputazione o la statura professionale della persona o dell’istituzione che producono le prove, né eventuali stipulazioni private. Eventi come questo mi sembrano il modo migliore per il mondo dell’arte di livellare il campo di gioco.

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