Quella di una rinnovata “età dell’oro” è poco più che una dichiarazione di intenti per gli Stati Uniti d’America guidati dal 47esimo presidente Donald Trump. Indipendentemente dal fatto che questi si concretizzino, una “nuova età dell’oro” potrebbe tuttavia realizzarsi per gli investitori, e in senso letterale. L’insediamento del tycoon ha infatti accelerato la corsa dell’oro, tornato a splendere con un trend rialzista a partire dalla metà di novembre 2024, arrivando a danzare sui livelli record raggiunti lo scorso 30 ottobre (2.786,19 dollari l’oncia per l’oro spot Usd). Al 23 gennaio 2025, ore 18.00 italiane, il metallo giallo si attestava infatti a 2.753,23.
A influenzare la corsa dell’oro potrebbe essere stata proprio l’imprevedibilità della politica di Donald Trump, soprattutto in ambito estero e commerciale, che accresce l’appetito degli investitori nei confronti di un bene rifugio contro la volatilità dei mercati. Agire con strategia diventa quindi fondamentale secondo Gianluca Ungari, Head of hybrid portfolio management e Sven Schubert, Head of macro research – Quantitative Investments di Vontobel Institutional Clients. “Recentemente abbiamo rivisto l’allocazione dell’oro nei nostri mandati ibridi multi-asset e abbiamo deciso di mantenere un moderato sovrappeso alla luce di due considerazioni. In primo luogo, vorremmo mantenere una copertura contro i rischi geopolitici, che vediamo aumentare. In secondo luogo, riteniamo che l’oro dovrebbe beneficiare delle nostre prospettive sui rendimenti reali”. Ecco spiegato perché nel dettaglio.
Oro in (moderato) sovrappeso: due ragioni a favore
1. L’oro diversifica il portafoglio in tempi di elevati rischi geopolitici
“Il ruolo dell’oro come diversificatore di portafoglio rimane convincente, soprattutto in tempi di elevato rischio geopolitico” spiegano gli esperti. A sostegno vi è un’analisi di 18 tra i principali eventi intercorsi dal 1900 al 2024 condotta dalla casa di gestione a partire dall’indicatore di rischio geopolitico (GRI) sviluppato dagli economisti Dario Caldara e Matteo Iacoviello. Se da una parte l’indicatore si sia dimostrato meno efficace come sistema di allerta precoce, esso rappresenta un valido alleato per analizzare il comportamento delle classi di attivi in presenza di questi eventi.

“La nostra ricerca rivela che, sebbene le perturbazioni geopolitiche possano causare volatilità di mercato a breve termine, i prezzi degli asset generalmente si riprendono in tempi relativamente brevi dopo l’evento. Ad esempio, le azioni sono state scambiate in rialzo 12 mesi dopo l’evento nell’80% dei casi analizzati. Inoltre, nel 70% dei casi, le azioni avevano già registrato un rimbalzo in soli tre mesi. Questi risultati sono robusti quando dividiamo il campione in diversi periodi di tempo (1900-1950, 1950-2000, 2000-2024), poiché il comportamento delle azioni prima e dopo l’evento geopolitico è relativamente simile in tutti e tre i sottocampioni” proseguono Ungano e Schubert.

“I risultati evidenziano l’attrattiva dell’oro come strumento di diversificazione durante le crisi geopolitiche. Mentre le azioni tipicamente si indeboliscono dopo tali eventi – rimanendo, in media, al di sotto dei livelli pre-evento per quattro settimane – l’oro mostra una notevole stabilità. In effetti, l’oro spesso inizia a riprendersi dopo l’evento, sottolineando la sua resilienza e il suo valore come bene rifugio”.

2. L’oro dovrebbe beneficiare delle prospettive sui rendimenti reali
Per Vontobel Asset Management l’oro all’interno dei portafogli non porta solamente vantaggi dal punto di vista della diversificazione. L’interesse rimane infatti elevato anche grazie al suo comportamento rispetto ai rendimenti reali. “I dati storici illustrano la storica correlazione negativa dell’oro con i rendimenti reali degli Stati Uniti, una relazione che ha costantemente influenzato la sua performance” aggiungono gli esperti.
Questi sono aumentati “in modo significativo nel recente passato e attualmente sono al di sopra della loro media storica (2,3% ora contro l’1,5% medio). Se gli investitori credessero che [tale performance] sia dovuta a una certa inversione della media, ne deriverebbe il supporto per l’oro, data la relazione inversa con i rendimenti reali discussa sopra”. Le prospettive positive sono inoltre rafforzate ulteriormente dalle proiezioni della Federal Reserve, per cui la stima implicita del rendimento reale a lungo termine è pari all’1% (leggermente inferiore rispetto all’1,5% di media storica), “che giustifica anche il calo dei rendimenti reali e il sostegno dell’oro. A nostro avviso, il rischio principale sarebbe una significativa diminuzione dei rischi geopolitici o un ulteriore aumento dei rendimenti in un contesto di inflazione stabile”.

Una nuova golden age per gli investitori?
Sembra quindi aprirsi una “nuova età dell’oro”, almeno nei portafogli degli investitori più attenti a mitigare i rischi associati all’incertezza geopolitica e alla volatilità di mercato, “sia come copertura che come asset con spazio per ulteriori rialzi” concludono Ungari e Schubert.