Un’analisi di Mercer ha messo ordine fra le principali criticità dei sistemi pensionistici e le barriere socio-culturali che riducono il benessere finanziario delle donne durante la fase post-lavorativa
Secondo gli esperti della società di consulenza Mercer, sono almeno tre le cause alla base questa iniquità fra i sessi: le differenze legate all’occupazione, ai sistemi pensionistici e, infine, gli orientamenti socio-culturali.
Per quanto riguarda le differenze occupazionali, a penalizzare le donne sono, ad esempio le “carriere più brevi”, avviate in modo “più tardivo” o interrotte “a causa del parto o del pensionamento anticipato”, hanno affermato i tre autori di Mercer. E ancora, non aiuta la maggiore diffusione fra le donne del part time, dovuto all’esigenza di conciliare il lavoro con il ruolo di genitore o di badante. Ma non è tutto:“un’occupazione limitata per un certo numero di anni ha conseguenze sulle opportunità di promozione e sulla progressione salariale”. Il che si traduce in stipendi più bassi per le lavoratrici e, quindi, in minori contributi previdenziali versati. Infine, “i settori dominati dalle donne, come l’ospitalità, la sanità e l’istruzione”, offrono retribuzioni inferiori rispetto a quelli “dominati dagli uomini”.
Le barriere socio-culturali che ampliano il divario dei redditi pensionistici, però, sono altrettanto importanti. Là dove manca un’assistenza all’infanzia accessibile, ad esempio, le opportunità di lavoro per le donne si fanno più limitate. Anche l’educazione finanziaria mediamente più bassa, la maggiore avversione al rischio e la tendenza a privilegiare le esigenze famigliari a breve termine, inoltre, porterebbero le donne a maturare “rendimenti pensionistici più bassi nel lungo termine”, hanno affermato gli esperti di Mercer. A tal proposito, “gli stereotipi di genere possono determinare differenze nell’istruzione ricevuta fra gli uomini e le donne”, privilegiando per i primi le materie scientifiche e matematiche, o manifestando, comunque, “l’aspettativa che le donne si occuperanno di più dei lavori familiari non retribuiti”. Infine, “la comunicazione e le campagne dei fornitori di pensioni”, affermano gli autori, “spesso ignorano i bisogni specifici delle donne e usano un linguaggio che non piace a un pubblico femminile”.
Come ridurre gender gap nelle pensioni
Come intervenire su tutti questi fronti? “Data la varietà delle cause e degli effetti che aggravano il divario pensionistico di genere, non c’è un’unica soluzione”, ammettono gli esperti di Mercer, “piuttosto, questo grande problema deve essere affrontato da diverse prospettive e da molteplici stakeholder”.
Per i governi, i primi interventi dovrebbero concentrarsi sul potenziamento dell’assistenza alla prima infanzia (migliorando, dunque, l’accesso agli asili nido); il miglioramento delle retribuzioni per i lavori a basso reddito che spesso penalizzano proprio le donne; il potenziamento, attraverso interventi legislativi, della flessibilità sul lavoro. Fra i suggerimenti segnati con maggiore rilevanza, e rivolti in questo caso ai responsabili delle risorse umane, non manca la realizzazione di una vera parità nelle retribuzioni fra uomini e donne – che resta uno dei fenomeni più penalizzanti anche in vista della pensione.
Anche le donne stesse possono fare qualcosa per provare a organizzare meglio il proprio futuro: Mercer ritiene importante l’acquisizione di un’adeguata preparazione finanziaria, la ricerca di un eventuale supporto professionale e lo sviluppo di una mentalità aperta a “mettere al lavoro” i propri risparmi, in modo che possano dare frutti nel tempo.
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