Negli ultimi giorni appena si accendeva la televisione per guardare il telegiornale o si leggeva qualche articolo, il focus principale era sempre lo stesso, i dazi americani e nuove possibili guerre commerciali. In effetti, dal 1 febbraio, Trump ha mantenuto le sue promesse, imponendo dazi del 25% su Canada e Messico, anche se subito dopo sono stati messi in pausa per un altro mese, e imposto tariffe del 10% sulla Cina, un grosso punto di domanda rimane ancora sulle sorti dell’Europa.
Ma quali sono gli impatti effettivi e duraturi delle tariffe sugli Stati Uniti e gli altri Paesi? Gli effetti saranno davvero in grado di modificare l’economia statunitense?
Un futuro con i dazi: nessuna novità all’orizzonte
“Gli annunci dei dazi degli ultimi giorni, e i successivi accordi per ritardarli, non cambiano la mia visione complessivamente positiva sulle prospettive dell’economia statunitense”, spiega Jared Franz, economista di Capital Group. Infatti, le barriere commerciali non sono una novità, bensì è dalla crisi finanziaria globale del 2009 che queste hanno iniziato a crescere, con picchi sotto il primo governo Trump e il recentissimo governo Biden.
Certo, le tariffe iniziali del 25% per Messico e Canada erano ben più alte di quello che il mercato si aspettava, ma visto che sono già state messe in pausa, potrebbero per lo più rappresentare una leva di negoziazione ed essere abbassate, se non addirittura scomparire, nel breve termine.
Insomma, resta da chiarire quali saranno i dazi finali, su quali beni si applicheranno e con quali tempistiche. Alla luce di questa incertezza, ma anche della flessibilità che il tycoon sta dimostrando, non ci sono motivi per temere per l’economia Usa che sembra destinata a espandersi, con una crescita del Pil di circa il 3% per il 2025.
Tariffe per Messico e Canada: al via le negoziazioni
Dazi rinviati, ridotti o addirittura evitati, questo è quello che sembra stia succedendo negli ultimi giorni tra gli Stati Uniti da una parte e Canada e Messico dall’altra. Insomma, sembra che Trump, Trudeau e Sheinbaum si siederanno presto allo stesso tavolo per parlare dei rapporti commerciali tra i loro Paesi, rivedendo l’USMCA, la cui scadenza è prevista per il 2026. Secondo l’esperto, l’ipotesi di base è che “il patto sopravviva, ma con modifiche significative che approvino un nuovo livello di tariffe statunitensi, restrizioni sugli investimenti cinesi in Messico, un ulteriore inasprimento delle norme di origine nel settore automobilistico, il rafforzamento della sicurezza delle frontiere o l’impegno da parte del Messico ad attaccare e indebolire i cartelli della droga”.
Insomma, nei prossimi giorni la minaccia di dazi da capogiro potrebbe tornare con forza, per poi ridursi con il raggiungimento degli accordi.
A soffrire per simili tariffe sarebbero chiaramente di più Canada e Messico, di cui gli Stati Uniti assorbono circa l’80% delle esportazioni, mentre per gli States questi scambi commerciali rappresentano solo il 15% delle importazioni.
Però, a un occhio più attento, non può sfuggire il fatto che il Canada non solo rappresenta quasi il 20% dell’approvvigionamento petrolifero statunitense e più della metà delle importazioni totali di petrolio degli Stati Uniti, ma è anche una fonte conveniente per gli importatori statunitensi, data l’infrastruttura di raffinazione. Per questo, è lecito aspettarsi una profonda ridefinizione, se non cancellazione, dei dazi.
Le decisioni, spesso improvvisate e spavalde, non sono una novità, ma piuttosto il modus operandi di Trump, come è chiaro anche guardando alla sua vecchia presidenza. Le cose si stanno muovendo molto velocemente, forse fin troppo per prevedere le direzioni della sua politica. Come sempre, non ci resta che aspettare.