L’economia tricolore registra un lieve recupero congiunturale nel primo trimestre del 2021 (+0,1% del pil), vincendo in tal senso anche le altre grandi economie europee. Segnali di stabilizzazione che si riflettono soprattutto nel rilancio del settore manifatturiero
Il 20,5% dei cittadini percepisce un peggioramento delle condizioni economiche della propria famiglia, una percentuale che sale al 26,3% per gli individui con un’età compresa tra i 25 e i 54 anni e che scivola al 12% per gli over 65
Nell’ipotesi ambiziosa di riuscire a utilizzare a pieno le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ci si potrebbe attendere un innalzamento del livello del pil rispetto allo scenario base compreso tra il 2,3 e il 2,8% nel 2026
Propensione al risparmio dall’8,1 al 15,8%
L’economia tricolore ha registrato un lievissimo recupero congiunturale nel primo trimestre del 2021 (+0,1% del pil), vincendo in tal senso anche i “cugini” europei. Segnali di stabilizzazione che si riflettono soprattutto nel rilancio del settore manifatturiero e delle costruzioni e che, spiega l’istituto, si associano a una risalita degli indici del clima di fiducia delle imprese. Ma che non oscurano, ancora, gli effetti disastrosi della crisi. Nel 2020, infatti, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è crollato del 2,8% (pari a 32 miliardi di euro) arrivando quasi ad azzerare la crescita del biennio precedente. Per i consumi finali si parla del -10,9%, la caduta più profonda dal dopoguerra. Parallelamente, la propensione al risparmio è impennata dall’8,1 al 15,8%. La spesa media mensile familiare scivola del 9% sul 2019, coinvolgendo principalmente il nord Italia (-10,2% nel nord-ovest e -9,5% nel nord-est) seguito dal centro (-8,8%) e dal Mezzogiorno (-8,2% per il sud e -5,9% per le isole). E le stime preliminari in tal senso sul primo trimestre non sono altrettanto incoraggianti, indicando un ulteriore calo del 3,4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Imprese italiane tra crisi e ripresa
Quanto al sistema produttivo italiano, si irrobustiscono i segnali di ripresa per la manifattura, che ha visto crescere i ricavi complessivi del 12,6% su base tendenziale tra gennaio e marzo. Un incremento che ha riguardato 15 settori su 23, dai mobili (+29,6%) alla metallurgia (+29,1%), dalle apparecchiature elettriche (+27,6%) agli autoveicoli (+25,4%), contro un recupero più contenuto o stagnante della filiera tessile-abbigliamento-pelli (che registrano rispettivamente un +5,0%, +0,5% e -1,6%). Nove settori, invece, hanno ormai raggiunto i livelli pre-crisi: legno-carta-stampa, chimica, gomma e plastica, prodotti della lavorazione dei minerali non metalliferi, metallurgia, prodotti in metallo, apparecchiature elettriche, autoveicoli. Meno completa la ripartenza per il terziario, con il fatturato su dell’1,6% nel primo trimestre del 2021 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno ma settori ancora in forte discesa come quelli del trasporto aereo e marittimo (-58,8 e -51,0%), delle agenzie di viaggio e tour operator (-85,6%) e dei servizi di alloggio e ristorazione (-70,8% e -37,2%).
In questo contesto, l’Istat ha identificato quattro classi di solidità strutturale, classificando le imprese con almeno tre addetti: solide (capaci di reagire a una crisi esogena, con lievi conseguenze sulla operatività aziendale), resistenti (con elementi di vulnerabilità che, nelle stesse condizioni, possono limitare la propria esposizione alla crisi), fragili (colpite severamente ma non a rischio operativo) e a rischio strutturale (che subiscono conseguenze in grado di metterne a rischio l’operatività). Le solide, si legge nel rapporto, rappresentano appena l’11%, ma impiegano il 46,3% dell’occupazione e il 68,8% del valore aggiunto. Quelle a rischio strutturale invece sono il 44,8% (20,6% degli addetti e 6,9% del valore aggiunto), le fragili sono il 25% (15,2% e 9,4%) e le resistenti il 19% (17,9% e 14,9%). Nel vortice della crisi soprattutto le micro imprese (tre i 3 e i 9 addetti), con il 51,7% a rischio strutturale.
Il digitale rende le aziende più reattive
“Vale la pena ricordare che l’economia italiana è arrivata alla crisi del 2020 senza aver pienamente superato la crisi precedente. E la produttività del lavoro (il valore aggiunto per ora lavorata) era cresciuta nell’arco degli ultimi 20 anni di appena 2 punti percentuali”, ricorda Andrea de Panizza, primo ricercatore dell’istituto. “Nel frattempo però il sistema si è trasformato. All’interno di tutti i settori si è osservato un nucleo forte di attività economiche progredite anche negli elementi sottostanti la produttività: nonostante la crisi, la ricerca e sviluppo da parte delle imprese è cresciuta tra il 2018 e il 2019 a un ritmo analogo a quello tedesco e superiore al 4,6% a prezzi correnti. Arrivando al 2020, si osserva come la capacità delle imprese di reagire a uno shock avverso importante sia stata associata anche al loro comportamento precedente in termini di innovazione, acquisizione del capitale umano e investimenti in tecnologie dell’informazione”.
In tal senso, spiega, l’impronta lasciata dal covid-19 è anche un’eredità “positiva” sotto certi aspetti. “Dal punto di vista digitale, è come se il Paese avesse fatto un grande balzo nel presente (non nel futuro, considerato quanto fosse indietro) nel giro di pochi mesi. Va detto che grazie agli incentivi precedenti alla crisi, con il Piano industria 4.0, c’era già stato un salto nell’adozione del cloud computing, per esempio”, osserva de Panizza. Stando al report, infatti, tra il 2018 e il 2020 la quota di imprese che utilizzano tali servizi è salita dal 23 al 59% e dall’11 al 32% per quanto riguarda i servizi evoluti. E la digitalizzazione avanzata ha garantito una maggiore reattività alla crisi, con solo il 4,1% delle imprese digitalmente mature che ha subito un ridimensionamento delle proprie attività.
Lo slancio del Pnrr: ecco gli effetti sul pil
Chiude il cerchio un focus sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, i cui interventi – secondo l’istituto – vanno nella direzione di una crescita dei settori economici a specifica vocazione ambientale. Ma anche del prodotto interno lordo. “Non solo nell’anno della crisi sono state dispiegate tante risorse per attenuarne gli effetti sociali e consentire la tenuta del sistema produttivo, ma è la prima volta che in uscita da un periodo di emergenza si parla di mettere sul piatto tantissimo risorse. Ben 235 miliardi di euro, in parte come contributi a fondo perduto, in parte come prestiti e in parte come risorse proprie: se saremo in grado di spenderli bene, potremo cambiare il volto del Paese non solo in termini di crescita ma anche in termini ambientali”, conclude de Panizza. Stando alle stime Istat, nell’ipotesi ambiziosa di riuscire a utilizzare a pieno tali risorse, ci si potrebbe attendere un innalzamento del livello del pil rispetto allo scenario base compreso tra il 2,3 e il 2,8% nel 2026.