Il Master AIDC, interamente proposto in diretta webinar, si propone di sviluppare le competenze necessarie per il Dottore Commercialista che vuole occuparsi di Wealth Management
We Wealth ha intervistato il dott. Marco Salvatore per fare il punto sugli strumenti per la continuità e la durabilità delle imprese familiari
I professionisti che desiderano acquisire una approfondita conoscenza teorica e pratica degli strumenti di pianificazione patrimoniale della ricchezza personale dal 24 novembre 2022 all’11 maggio 2023 avranno l’opportunità di iscriversi al Master “The Wealth Planning Specialist”, interagendo online con docenti con pluriennale esperienza nazionale e internazionale, seguendo un approccio cross-funzionale.
I docenti del Master The Wealth Planning Specialist, infatti, tutti provenienti dal mondo accademico, delle professioni commerciali, legali e finanziarie, attraverso lezioni mirate, consentiranno ai partecipanti di acquisire le conoscenze necessarie per individuare e ottenere un efficiente assetto legale, tributario e finanziario alla ricchezza privata di soggetti che vivono oppure operano in Italia.
Tra i tanti incontri calendarizzati, sono previste lezioni specifiche sugli obblighi dichiarativi correlati al possesso di attività estere, sull’istituto del trust, sugli aspetti fiscali delle polizze assicurative, sugli strumenti cui ricorrere e sulle strategie da seguire per la migliore riuscita del passaggio generazionale del patrimonio, personale e dell’impresa.
A tal riguardo, per fare il punto su quest’ultima tematica, interessante quanto complessa, We Wealth ha intervistato il dott. Marco Salvatore, (membro del Comitato scientifico del Master insieme a Edoardo Ginevra e Paolo Gaeta), per un approfondimento sugli strumenti per la continuità e la durabilità delle imprese familiari.
Dott. Salvatore, Come può essere gestito il passaggio generazionale dell’impresa e perché approfondire questa tematica è così importante per il tessuto socio-economico italiano?
In Italia le imprese familiari costituiscono oltre l’82% del tessuto industriale ed il 53% degli imprenditori è over 60 anni. Il passaggio generazionale, di conseguenza, si rivela sempre più un tema di grande attualità della corretta gestione del rischio per la sopravvivenza dell’impresa.
Nel panorama italiano composto da una moltitudine di imprese di piccole o medie dimensioni, caratterizzate dalla presenza dell’imprenditore, il tema della successione all’interno dell’azienda diviene di particolare importanza, soprattutto se si pensa alle possibili conseguenze derivanti dalla disgregazione dell’azienda, causata da una gestione non programmata e disordinata del passaggio generazionale.
Tuttavia, benché siano molti gli strumenti che consentono di gestire al meglio il passaggio generazionale dell’impresa, si pensi alle volontà testamentarie o ai patti di famiglia, persiste un elemento culturale che porta i soggetti interessati a rimandare l’argomento. Lo stesso discorso, per certi versi, vale anche sul fronte della gestione patrimoniale; soprattutto alla luce dei fenomeni e dei temi posti dall’invecchiamento della popolazione e dall’allungamento dell’aspettativa di vita.
A tal proposito, una analisi dell’AIPB – Associazione Italiana Private Banking – ha evidenziato come un’ampia quota della ricchezza finanziaria investibile italiana sia legata al capofamiglia over 65. Il trasferimento del patrimonio agli eredi e il passaggio generazionale in azienda si confermano temi prioritari.
È comune, del resto, l’idea secondo la quale il passaggio generazionale avvenga nel momento in cui il predecessore “consegna le chiavi dell’azienda” al successore. Tuttavia, il passaggio generazionale è un processo lungo, che richiede un’attenta pianificazione dell’assetto proprietario, di governance e di direzione.
La base portante di un passaggio generazionale di successo è la concezione dell’impresa come qualcosa di distinto e autonomo rispetto alla famiglia, visione tipica di una proprietà responsabile che intende privilegiare la continuità aziendale con un adeguato sistema di governance. Una proprietà responsabile si rende aperta a soluzioni come l’apporto di capitali non familiari o al contributo di manager esterni, nel caso in cui le risorse e le competenze presenti in ambito familiare non risultino sufficienti a garantire competitività e sviluppo all’impresa.
Le nuove generazioni e l’introduzione in azienda di nuove competenze conducono a cambiamenti radicali, possibili solo se godono del supporto della coesione familiare, assunto come valore primario da tutti i componenti della famiglia proprietaria.
Può dirci qualcosa in più sul processo che caratterizza il passaggio generazionale?
Il processo, come dicevo, è complesso e si può articolare in diverse fasi. Può durare anche decenni e termina con la nuova generazione che assume il controllo dell’azienda.
In particolare, si possono individuare quattro fasi ben distinte:
Fase 1. Il processo di crescita dei giovani
In questa fase è necessario assistere i figli nella scelta del percorso formativo da intraprendere, assecondando gli studi più in linea con le vocazioni e incoraggiando nuove esperienze professionali anche in altre aziende, in modo tale da permettere di definire al meglio il proprio carattere e la propria personalità; fattori questi importanti nel percorso di crescita e di formazione di una leadership di successo.
Fase 2. L’ingresso dei giovani nell’azienda
Questo è uno dei momenti più critici e delicati del passaggio generazionale. Alla generazione uscente spetta infatti l’arduo compito di evitare di replicare il suo percorso in azienda, ma anzi incoraggiare le nuove leve affinché le stesse siano linfa per il cambiamento con sguardo sempre più rivolto al futuro e al rinnovamento. Affidando alle nuove generazioni compiti chiari e precisi, definendo in modo conciso le posizioni e le figure e affidando responsabilità progressivamente crescenti.
Fase 3. La convivenza tra genitori e figli
Durante il periodo di convivenza tra genitori e figli è importante per la riuscita del passaggio generazionale impostare un sano dialogo tra questi, per ridurre i conflitti e facilitare un confronto costruttivo tra le due diverse generazioni, favorendo l’autocritica ed evitando le rigidità.
Fase 4. Subentro nel comando
In questa fase sarà necessario, da un lato, che i genitori condividano i risultati attesi, rinuncino in modo progressivo al loro ruolo di capo di azienda e accettino il processo di rinnovamento del modello di business di cui i figli si mostrano promotori.
Dall’altro lato, che i figli comunichino ai genitori le proprie attese e le proprie opinioni, ma al contempo si sforzino di trovare un nuovo ruolo ai genitori all’interno dell’impresa, in modo che nessuno si senta escluso o messo da parte.
Esistono dei tratti comuni che caratterizzano i diversi processi di passaggio generazionale?
Ebbene, non esiste un unico modello: ogni realtà ha le sue particolarità e spesso il passaggio generazionale è “un vestito da cucire addosso alla singola impresa”. Tuttavia, si possono confermare in ogni processo quattro condizioni che si trovano alla base: pianificazione, apertura, compresenza ed equità.
Proprio come si pianifica il lancio di un nuovo prodotto, allo stesso modo per un passaggio generazionale è necessario stendere un piano, con scadenze precise, che definisca a chi e entro quando i diritti e le responsabilità saranno trasferiti.
È opinione comune che un passaggio generazionale di successo debba avvenire all’interno della cerchia familiare. In realtà ciò che conta è fare in modo che l’impresa resti dotata di capitale umano sufficiente per competere con successo, a prescindere dal cognome di chi lo apporta.
Il passaggio generazionale è un processo che necessita di cura, pazienza, flessibilità e coerenza. La generazione dei Senior teme, con il subentro della nuova generazione, un passo indietro, ma sarebbe più corretto invece identificarlo “un passo di lato”. Grazie, infatti, alla compresenza vengono trasferite competenze spesso distintive e valori costruiti nel tempo che non si devono abbandonare.
Cura, pazienza, flessibilità, scambio costruttivo tra generazioni. Ma quali sono gli strumenti più idonei a ridurre i rischi e quindi atti conservare e trasmettere il patrimonio di generazione in generazione?
È certamente possibile individuare una serie di strumenti che consentano la pianificazione e la programmazione nella gestione dei patrimoni sia aziendali che personali, in ottica conservativa, produttiva e di trasmissione alle generazioni future, contrastando quanto più possibile i rischi connessi ad eventi incontrollabili. Ecco alcuni esempi:
– Il Patto di famiglia
Questo strumento prevede la possibilità per l’imprenditore di trasferire inter vivos la propria azienda, anche sotto forma di partecipazione societaria, al coniuge e/o ad uno o più discendenti, nei limiti e nel rispetto delle norme societarie e di quelle sull’impresa familiare, prevedendo in capo al beneficiario l’obbligo di liquidare in denaro o in natura gli altri legittimari il corrispondente del valore della legittima.
Operazione che con riferimento alle imposte di successione permette, in particolare, il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni di controllo in società commerciali in regime di esenzione.
– La Società semplice
La società semplice è la forma più elementare di organizzazione societaria prevista per l’esercizio di attività lucrativa non commerciale (artt. 2251 – 2290 c.c.), ma non per questo non idonea a rivestire in certi casi un ruolo perfetto quale holding di famiglia.
Il ricorso a tale modello societario è principalmente dovuto alla limitata presenza di formalismi e alla flessibilità della struttura, che si manifesta anche nella mancanza di un obbligo di tenuta delle scritture contabili.
Dal punto di vista fiscale, è in primo luogo caratterizzata dalla attribuzione per trasparenza delle diverse nature di reddito in capo ai soci, oltre che alla non applicabilità dell’Irap.
– La Società a responsabilità limitata Holding di famiglia
Una delle modalità più praticate per favorire il passaggio generazionale è la costituzione di una società holding di famiglia.
I vantaggi conseguibili mediante la creazione di una holding di famiglia sono societari, fiscali, finanziari.
Quanto ai vantaggi societari, il vantaggio consiste nell’ottenere la razionalizzazione del controllo societario, creando una società posta indirettamente al vertice di tutte le società; inoltre, in caso di conflitto tra i membri della famiglia le eventuali battaglie legali societarie si combattono a livello della holding senza che l’attività delle società operative ne sia danneggiata da un coinvolgimento diretto.
I vantaggi fiscali si individuano nella possibilità di pianificare il trasferimento generazionale, al fine di limitare l’impatto delle imposte dirette e indirette una sola volta e al solo livello più elevato della struttura societaria nonché nella possibilità di utilizzare la tassazione di gruppo ai fini delle imposte dirette e ai fini Iva.
I vantaggi finanziari, invece, sono la razionalizzazione della distribuzione degli utili; infatti la società holding incassa i dividendi delle società controllate e li distribuisce ai soci, dopo aver valutato le esigenze finanziarie dell’intero gruppo, nonché la possibilità di utilizzo di strumenti di finanziamento infragruppo elastici.
Uno dei modelli di holding maggiormente diffusi in Italia, specie dopo la riforma dell’art. 2468 del codice civile è quello della Srl in virtù della possibilità di modulare diversamente i diritti di governance e/o patrimoniali tra i diversi soci siano componenti della medesima famiglia o eventuali nuovi soci.
– Il Mandato fiduciario
Ai sensi dell’art. 1 della L. 1966/39, le fiduciarie sono società che si propongono, sotto forma di impresa, di amministrare dei beni per conto di terzi, di occuparsi della organizzazione e della revisione contabile di aziende e di rappresentare i portatori di azioni e di obbligazioni. Le società fiduciarie effettuano attività di amministrazione e gestione statica o dinamica di beni e patrimoni, pur non essendone titolari.
La titolarità, infatti, rimane in capo al soggetto terzo che ha posto fiducia nella società.
– Il Trust
Il trust consiste in un rapporto giuridico istituito da una persona (detta disponente o settlor), attraverso un atto inter vivos o mortis causa, in virtù del quale un dato soggetto, chiamato trustee (o fiduciario), cui sono attribuiti diritti e poteri di un vero e proprio proprietario, gestisce un patrimonio separato da quello del disponente e da quello del trustee per uno scopo prestabilito, purché lecito e non contrario all’ordine pubblico.
Il trustee è tenuto ad amministrare, gestire e disporre dei beni in trust secondo le indicazioni dettate nell’atto istitutivo ed osservando le norme particolari impostegli dalla legge. Di tale potere-dovere egli deve render conto.
Il trust può rispondere a esigenze diverse, come, ad esempio la separazione tra beni aziendali e familiari, la gestione del passaggio generazionale dell’impresa, la protezione del patrimonio personale dall’attacco dei creditori, la salvaguardia dei beni di proprietà di soggetti incapaci.
Dal punto di vista fiscale poi, dopo la recente emanazione della Circolare 34/E da parte dell’Agenzia delle Entrate, si sono chiariti ulteriori aspetti di primaria importanza, prevedendo tra l’altro che il patrimonio disposto in trust sarà assoggettato ad imposta di successione solo nel momento in cui il patrimonio sarà attribuito ai beneficiari stessi del trust, applicando il solo prelievo in misura fissa al momento della costituzione e dotazione patrimoniale del trust.
– Il Private Equity
Per Private equity si intende l’attività di assunzione di partecipazioni durevoli e rilevanti nel capitale di imprese non quotate, effettuata da investitori finanziari specializzati, con lo scopo di accrescerne il valore nel medio termine e realizzare un’adeguata plusvalenza dalla dismissione.
Per poter ottenere un profitto sugli investimenti congruo con gli elevati livelli di rischio, l’operatore del private equity deve mirare ad un significativo incremento del valore economico dell’impresa target.
Per perseguire questo obiettivo di valorizzazione economica della partecipata, l’investitore di private equity è chiamato molto spesso ad un ruolo attivo nella gestione della medesima, in forme differenziate e con gradi di coinvolgimento che variano in base alle caratteristiche dell’investimento. Pertanto per l’impresa target il valore aggiunto apportabile da un investitore di private equity non risiede solo nel reperimento di capitale di rischio con orizzonte temporale di medio-lungo termine, ma anche e soprattutto nel supporto di know how manageriale che l’investitore mette a disposizione della gestione aziendale, per il suo stesso interesse di valorizzazione della partecipata.
Una battuta finale. In che modo, a suo avviso, la scelta del consulente può fare la differenza per la migliore riuscita dei processi di passaggio generazionale?
Da quanto descritto è evidente quanto di primaria importanza in tutto il processo sia il ruolo del consulente di fiducia dell’imprenditore. Il consulente, come fosse un “angelo custode”, dapprima si affianca all’imprenditore nel programmare il percorso e poi si affianca eventualmente ai suoi figli; come se fosse coinvolto in un processo di mentoring, il consulente di fiducia saprà intervenire al momento giusto per individuare gli strumenti (anche fiscali) migliori per gestire la pianificazione patrimoniale e consentire, anche attraverso un utilizzo composito di diverse opzioni, il raggiungimento dei risultati attesi.