Assonime propone l’introduzione dell’Imu anche sulla prima casa
Oltre che un aumento della tassazione sui consumi
Altri punti centrali della riforma presentata dai commercialisti sono la sostituzione dell’Irap con un’addizionale alle imposte sui redditi a carico degli stessi soggetti passivi del tributo regionale e l’equiparazione della progressività fiscale tra i lavoratori autonomi e quelli dipendenti. Assonime riprende la criticità già citata dai commercialisti in merito al salto di 11 punti percentuali esistente tra il 2 e il 3 scaglione, ma si concentra anche sull’ipotesi della patrimoniale, le imprese e sul carico Iva. Ma andiamo con ordine. In merito ad una possibile patrimoniale Assonime ha spiegato come: “molto si discute sull’opportunità di introdurre o meno un’imposta patrimoniale di carattere personale, con aliquote contenute ma progressive e con un’esenzione per i patrimoni di minore entità. L’idea non è priva di fondamento, tenuto conto che il patrimonio esprime una ricchezza concentrata e una sua tassazione, affiancata all’Irpef, potrebbe realizzare meglio quel principio di progressività dell’imposizione che è alla base del nostro sistema tributario. Tuttavia, sotto il profilo pratico, appaiono notevoli le controindicazioni, vuoi perché un’imposta patrimoniale di carattere personale, se istituita in via ordinaria, potrebbe colpire la stessa ricchezza sottoposta all’imposta sul reddito, vuoi perché potrebbe essere facilmente evasa (con la frammentazione del patrimonio, la sua collocazione all’estero, ecc.) e vuoi anche per le complicazioni amministrative che ne deriverebbero”, si legge dal testo dell’audizione di Assonime in commissione finanza riunite di camera e sanato.
E dunque, precisa l’associazione per il momento dovrebbero essere mantenute le imposte patrimoniali esistenti, andandone ad analizzare le regole applicative. Ad esempio, l’Imu – spiega Assonime– dovrebbe estendersi anche all’abitazione principale. “Si potrebbe anche valutare la possibilità di introdurre una modifica più innovativa, trasformando l’Imu in un’imposta sui servizi per il finanziamento degli enti locali da affiancare alla Tari. L’imposta dovrebbe gravare sui soggetti che hanno la disponibilità dell’immobile (proprietari o affittuari) in modo da ridurre proporzionalmente i trasferimenti agli enti locali, che si finanzierebbero in parte con le entrate dagli immobili. Si stabilirebbe così un nesso tra chi fruisce dei servizi locali e chi ne sostiene il costo”, continua l’associazione.
Mentre per quanto riguarda il bollo e l’Ivafe per le attività finanziarie, “da più parti si evidenzia che la loro misura, congiuntamente alla tassazione dei redditi derivanti dall’impiego del capitale, determinerebbe un’imposizione complessiva piuttosto elevata e controproducente per le disponibilità finanziare delle imprese”.
Ma non finisce qua perché l’associazione vorrebbe anche un aumento della tassazione sui consumi. “Nel nostro Paese il gettito Iva è più basso, in rapporto al totale delle entrate tributarie, rispetto agli altri paesi europei. L’Iva in Italia rappresenta il 14,8% delle entrate fiscali (dati 2018) rispetto al 18,2% medio dell’Europa a 28 e al 17,1% medio dell’area euro. A questo risultato concorre certamente la diffusa evasione dell’imposta nel nostro Paese, ma anche l’utilizzo estensivo delle aliquote agevolate in luogo di quella ordinaria: utilizzo che nel nostro Paese è superiore alla media dei Paesi europei”, si legge dal testo dell’audizione di Assonime.
E quindi, la razionalizzazione delle aliquote Iva potrebbe essere realizzata eliminando l’aliquota super ridotta del 4%, consentita solo come deroga alla vigente disciplina europea, e aumentando l’aliquota intermedia al 12%. Le aliquote diventerebbero a questo punto tre: il 5%, il 12% e il 22%. Secondo Assonime, beni e servizi simili dovrebbero condividere la medesima aliquota, e dovrebbero godere dell’aliquota agevolata i beni e i servizi inerenti alla salute e all’ambiente.
“Questo intervento avrebbe l’indubbio vantaggio di semplificare il sistema applicativo dell’Iva, superando le molte incertezze che attualmente si presentano agli operatori quando devono individuare l’aliquota applicabile e che spesso hanno richiesto l’emanazione di norme di interpretazione autentica”, spiega l’associazione.
E infine per quanto riguarda la tassazione delle impese secondo Assonime bisogna intervenire sulla materia delle deduzioni e dei crediti di imposta, limitandoli a obiettivi chiari e normativamente predeterminati. “Si potrebbe prevedere, con l’esclusione delle imprese in fase di start up, un unico plafond in percentuale sui ricavi, in relazione al quale ciascuna impresa potrebbe scegliere quali spese dedurre tra quelle individuate dal legislatore”. Ma non finisce qua perché l’associazione ipotizza anche come di ancorare la tassazione del reddito d’impresa al bilancio civilistico circoscrivendo per quanto possibile il gioco annuale delle modifiche dei trattamenti fiscali “contrattate” in sede di legge di bilancio.
Resta inoltre aperta la riflessione su una futura e generalizzata applicazione di un’imposizione che, a fini di semplificazione del sistema impositivo, dia rilevanza, nella determinazione della base imponibile del reddito d’impresa, ai flussi di cassa, più facili da rintracciare e più difficili da manipolare rispetto agli utili. “In una prospettiva di cash flow tax – continua Assonime- le spese per asset materiali e immateriali sarebbero immediatamente dedotte dalla base imponibile (con un forte incentivo agli investimenti) e non rileverebbero più le componenti finanziarie; circostanza, quest’ultima, che risolverebbe il problema della dicotomia di regime tuttora esistente (pur se attenuata da alcune misure, come l’Ace) tra imprese che ricorrono al capitale di rischio e imprese che ricorrono al finanziamento a debito. Naturalmente, sviluppi in questa ideale direzione richiederebbero un consenso comune e nuovi accordi internazionali, in sede europea e Ocse”.