Secondo i principi del Surrealismo, la ragione deve ritirarsi e lasciar libera espressione all’inconscio. La tela è uno spazio sul quale l’artista lascia fluire liberamente il segno e il colore. Si tratta in sostanza di una scrittura immediata, priva di filtri e di controlli razionali, che prescinde da ogni alfabeto precostituito ma che curiosamente si inscrive in riquadri geometrici di diversi colori un po’ come avviene nel linguaggio dei fumetti.
Achille Perilli, Il teatro dell’arsura, 2011
Per questo motivo è stata più volte richiamata l’assonanza fra le tele di Perilli e le vignette illustrate, assonanza che si rivela efficace ma superficiale, per il semplice fatto che è del tutto assente – nelle opere di Perilli – la volontà di illustrare qualcosa. Credo anche che uno dei motivi di maggior fascino della sua opera risieda proprio in questo paradosso: da un lato abbiamo un’organizzazione precisa della tela, definita mediante riquadri colorati che richiamano la pagina stampata, dall’altro viene negata ogni precisa finalità linguistica e comunicativa.
Anche i titoli contribuiscono non poco a questa ambiguità: Fanno infatti riferimento a fatti e azioni concrete, di cui è difficile scorgere traccia all’interno del quadro. La ricerca di Achille Perilli non è stata solitaria, ma ha trovato un compagno di strada fedele in Gastone Novelli, che ha condiviso molte delle stesse tematiche. Anche se non si è trattato né di un sodalizio stretto come quello tra Picasso e Braque, né tantomeno di un magistero come quello esercitato da De Chirico su Carrà, è indubitabile che il loro cammino si è svolto in parallelo almeno fino al 1968, anno in cui Novelli viene a mancare. È sintomatico che proprio a partire da questo anno anche il linguaggio di Perilli segni una svolta precisa.
Senza titolo, 1976
Achille Perilli e Franco Rossi, 1982
La prospettiva appare applicata in modo volutamente eterodosso, contraddetta dal colore squillante e vivace che ribalta in primo piano i volumi deformando e piegando le fragili scatole prospettiche. Altro che ritorno alla geometria, qui domina il gioco e la fantasia, come d’altra parte nelle creazioni degli anni precedenti. Si potrebbe persino pensare che Perilli voglia dileggiare lo spettatore. Prima delle scritte incomprensibili, coronate da titoli che sembrano degli epigrammi, poi delle prospettive rinascimentali in equilibrio precario, insomma: gioco e ironia, ma sempre in un tono pacato ed elegante, senza estremismi e polemiche: Non sono sicuro che tutta la sua opera – a dire il vero un po’ ripetitiva – possa passare alla storia, ma certo i suoi quadri non smetteranno di rallegrarci, facendo al contempo riflettere. Dietro un’apparente facilità, nascondono un pensiero tutt’altro che banale, sempre che si sia disposti ad ascoltarlo.