I casi di British Petroleum, Neste, Boohoo dimostrano che sole un approccio rigoroso alla sostenibilità permette di mitigare i rischi legati ai fattori ambientali, sociali e di governance
A partire dal 10 di marzo nuove regole europee imporranno una maggiore trasparenza sul fronte della sostenibilità per gestori e consulenti
Prendiamo un’azienda come Neste, ex colosso petrolifero finlandese, controllato dallo stato e quotato alla Borsa di Helsinki.
Oggi Neste è concentrata sulla raffinazione, il trasporto e la vendita di biodiesel, un combustibile ottenuto da fonti rinnovabili, quali grassi animali e olio di frittura, che riduce del 50/90% le emissioni di Co2 rispetto al diesel tradizionale. Questa linea di business oggi vale il 70% dei margini di profitto per un gruppo che controlla il 60% del settore a livello internazionale. Non a caso si tratta di un raro esempio di azienda petrolifera capace di sovraperformare il mercato azionario globale negli ultimi anni. È molto ben posizionata per cavalcare la transizione climatica, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, che offre una cornice di riferimento per mitigare gli effetti del surriscaldamento globale.
Il caso BP
Il caso di British Petroleum lo ricordano in molti: l’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon, avvenuta nell’aprile 2010 nel Golfo del Messico, ha causato danni incalcolabili all’ecosistema, per la più grave fuoriuscita di petrolio mai registrata.
Non fu una tragica fatalità, che sarebbe potuta accadere a qualsiasi azienda petrolifera?
Prima dell’incidente al pozzo Macondo, che costò a BP una multa da 4,5 miliardi di dollari, si potevano scorgere evidenti segnali di pericolo. Si erano già verificati alcuni episodi sospetti in Texas, Alaska e Azerbaijan, legati alle piattaforme della società petrolifera inglese.
Come si spiega il fatto che BP fosse rappresentata in alcuni indici sostenibili, come Il Dow Jones Sustainability Index e il Ftse4Good index?
Sulla carta mostrava un ottimo profilo di responsabilità sociale e ambientale. Ma il top management esercitava continua pressione sui costi, per aumentare i profitti. Noi abbiamo sempre adottato un approccio rigoroso all’analisi dei fattori Esg (Environmental social e governance ndr), non ci limitiamo a esaminare le policy dichiarate dalle aziende. Infatti già nel 2008 avevamo escluso BP dal nostro universo investibile.
Un tempismo perfetto…
Una scelta ben ponderata. Anche se un investitore avesse acquistato il titolo nel 2010, ai minimi, avrebbe sottoperformato gli altri colossi petroliferi nei successivi cinque anni.
Cosa insegna il caso BP?
Dimostra in modo eclatante quanto sia importante per un gestore valutare, oltre agli aspetti prettamente finanziari, anche la qualità dell’investimento, gli aspetti extra-finanziari riconducibili ai fattori Esg. Per farlo in modo efficace, è necessario andare oltre le dichiarazioni delle singole aziende, analizzando le loro azioni concrete, i prodotti e i processi.
Più sostenibilità per controllare i rischi
Boohoo, un noto e-commerce di moda con sede nel Regno unito, che nella prima metà del 2020 ha registrato un fatturato di oltre un miliardo di dollari. Lo scorso anno è finita al centro di uno scandalo legato alla sua catena dei fornitori, per la protesta degli operai sottopagati che lavorano in subappalto per conto della piattaforma inglese. Una vicenda che ha spinto la società di auditing Pwc a rinunciare all’incarico come revisore contabile. Il fatto che Boohoo godesse di un buon giudizio di sostenibilità, secondo alcune società di rating, prova l’importanza di una due diligence (analisi ndr) approfondita da parte degli asset manager anche sui fattori Esg, per evitare problemi reputazionali, oltre che finanziari, quando un titolo crolla a causa di fattori extra-finanziari. Gli esempi di come le controversie legate alla sostenibilità possano esercitare un impatto sostanziale sulla reputazione e, quindi, anche sulle performance di Borsa, sono numerosissime. Da Rio Tinto, leader nel settore estrattivo, alla stessa Facebook, finita nel 2018 al centro dello scandalo Cambridge Analytica sul trattamento dei dati personali.
L’analisi sulla sostenibilità, in pratica è uno strumento ulteriore di risk management.
Di sicuro aiuta l’investitore ad identificare le società e i Paesi meglio attrezzati a gestire rischi di natura extra-finanziaria: i meno esposti, quindi, a possibili sanzioni dei regolatori, problemi reputazionali e conflitti con i vari portatori di interesse – azionisti, lavoratori, comunità locali – che potrebbero inficiare i risultati aziendali. Ma c’è di più: investire attraverso le lenti della finanza Esg consente di individuare le imprese di migliore qualità, più competitive e sostenute da trend secolari.
Le nuove regole sulla sostenibilità
Il 10 marzo entra in vigore la Sustainable finance disclosure regulation (Sfdr), una nuova cornice regolamentare che impone agli operatori dei mercati finanziari, siano asset manager o consulenti finanziari, di dichiarare come interpretano la sostenibilità, cioè come integrano l’analisi sui rischi e sulle opportunità legate a fattori Esg nelle decisioni e nelle raccomandazioni d’investimento.
Nel concreto, cosa cambia?
Gli asset manager dovranno dichiarare se i rischi Esg sono presi in esame nel processo d’investimento, perché credono che possano generare un ritorno negativo sul valore del portafoglio, oppure, al contrario, ritengono che i rischi associati alla sostenibilità non siano rilevanti. E allora dovranno spiegare, nero su bianco, perché (articolo 6). Inoltre, dovranno indicare se i loro prodotti finanziari promuovono in modo strutturale aspetti ambientali, sociali e di governance come parte integrante della strategia d’investimento (articolo 8) o hanno espliciti obiettivi sul piano della sostenibilità, come nel caso dei fondi a impatto (articolo 9). Queste nuove categorie, identificate anche da tre colori, rispettivamente grigio, verde chiaro e verde scuro, metteranno i risparmiatori nelle condizioni di capire meglio quanto sostenibili sono i loro investimenti. A differenza di molti altri operatori, noi siamo già pronti, perché da anni disponiamo di una classificazione simile per gli investimenti responsabili – integrazione Esg, sostenibilità, e impatto – e pubblichiamo informazioni e dati relativi agli asset in gestione che rientrano in questi ambiti.
Quanto valgono le masse gestite da NN IP secondo criteri di sostenibilità?
NN IP integra i fattori Esg nel processo d’investimento per oltre il 71% delle proprie strategie. Riconosciuta da Pri (Principles for responsible investment dell’Onu, ndr) con il massimo dei voti per la qualità dell’integrazione dei fattori Esg nelle gestioni, investe da anni in ricerca, per definire i fattori chiave per l’identificazione di opportunità, rischi, modelli di business che hanno un impatto sulle valutazioni. Fattori, che non sono ancora pienamente riconosciuti da mercato. Questo ci permette di godere di un vantaggio competitivo a livello informativo, che utilizziamo nelle nostre gestioni.
Il greenwashing
Il Regolamento Sfdr fa parte di un più ampio Piano d’azione dell’Ue per finanziare la crescita sostenibile verso un’Europa più “green”. Il piano mira a reindirizzare i flussi di capitali verso investimenti sostenibili, a integrare la sostenibilità nella gestione del rischio e a promuovere la trasparenza e la visione a lungo termine nell’attività economica e finanziaria. Rientrano in questo piano anche altre due disposizioni legislative. La prima riguarda la Tassonomia, la definizione di un linguaggio unico in materia di sostenibilità, in modo che tutti gli operatori utilizzino gli stessi criteri per definire, misurare e comunicare le caratteristiche di sostenibilità delle attività economiche: al momento la tassonomia è focalizzata sulle problematiche ambientali ed entrerà in vigore il 31 dicembre 2021. In futuro, includerà anche fattori sociali e legati alla governance. La seconda è la Direttiva sulla reportistica non finanziaria (Nfrd), già in vigore dal 2018, che sarà rivista dall’UE per sostenere l’attuazione della Tassonomia dell’Ue e della Sfdr: prevede requisiti più rigorosi e standardizzati sulle modalità con cui le aziende comunicano le informazioni di natura non finanziaria e rendono noti i dati ambientali, sociali e di governance (Esg). Dovrebbe essere adottata nel primo trimestre del 2021 dalla Commissione.
Sul fronte della sostenibilità l’Europa fa da capofila. Basti pensare che, secondo Morningstar, l’82% del patrimonio gestito attraverso fondi sostenibili è riconducibile al Vecchio continente, contro il 14,2% degli Usa. Come si spiega?
Europa e Stati Uniti sono interpreti di due approcci differenti all’investimento. Mentre gli americani propendono per la formula “shareholder first”, prima gli azionisti, il modello europeo tende a prendere in considerazione maggiormente le esigenze di tutti gli stakeholder, cioè i portatori di interesse: lavoratori, clienti, fornitori, comunità locali.
Quale modello è destinato ad avere successo in un mondo post-pandemico? L’Europa sarà in grado di esportare il suo, mostrando che porta benefici anche sul piano finanziario?
Il modello “stakeholder” sta guadagnando quota, anche negli Usa. Noi siamo convinti che, applicato agli investimenti, possa consegnare risultati migliori nel medio lungo termine. L’essenza della sostenibilità, in definitiva, è proprio qui.