Dalla bozza della legge di bilancio 2025: cosa cambia con la web tax
Dalla bozza della legge di bilancio 2025, salvo emendamenti dell’ultima ora, emergono novità di assoluto rilievo riguardanti la digital service tax, detta anche la web tax italiana: una tassa del 3% che devono pagare tutti (i soggetti coinvolti nel business digitale), senza alcun limite di ricavo.
Chi deve pagare la web tax: i soggetti interessati
I soggetti d’imposta sono tutte le aziende che erogano servizi digitali, come, ad esempio, la pubblicità on-line, lo streaming, o le ormai diffusissime piattaforme di commercio elettronico.
Le principali novità della web tax dal 2025
La web tax esiste da tempo, ma finora erano colpite solo le aziende (tipicamente) multinazionali, ovvero quelle con ricavi superiori a 750 milioni di euro a livello globale, e 5.5 milioni di euro in Italia; dal 1° gennaio dovrebbero risultare soggette al tributo tutte le imprese che generano ricavi attraverso servizi digitali, piccole o grandi che siano.
A chi obietta che le aziende meno strutturate si troveranno un fardello in più, il legislatore risponde con un sistema semplificato di dichiarazione e pagamento dell’imposta.
Quando e come si paga la web tax
Il termine di versamento della nuova web tax è fissato al 16 maggio dell’anno successivo a quello di competenza: pertanto, per i ricavi generati nel 2025 le aziende dovranno effettuare il pagamento entro il 16 maggio 2026; la relativa dichiarazione dovrà essere presentata entro il 30 giugno 2026.
Conseguenze e rischi per chi non rispetta le regole
A dimostrazione della “serietà” delle intenzioni del legislatore va considerato che, alle consuete sanzioni pecuniarie, si potranno aggiungere delle restrizioni operative in caso di inadempimento da parte dei soggetti obbligati.
Chi paga davvero la web tax? Gli effetti sui piccoli e grandi operatori
Ciò premesso, occorre chiedersi chi alla fine pagherà questa tassa; difficile immaginare che gli operatori economici non tentino di trasferire a valle il nuovo onere, in modo da mantenere intatti i margini.
In ogni caso, è un’imposta che rischia di avere effetti regressivi: i piccoli operatori che, oltre al commercio fisico, cercano di sviluppare quello digitale, saranno certamente penalizzati rispetto ai grandi colossi che vengono appena sfiorati dalla gabella che già oggi pagano.
Un confronto con la tassazione globale: il caso del “pillar two”
Inoltre, il tema della tassazione della “ricchezza digitale” è già affrontato a livello globale dal cosiddetto “pillar two”, ovvero dal sistema di tassazione minima al 15%, a prescindere da dove il reddito venga (sapientemente) localizzato dai gruppi multinazionali; la web tax italiana sembra invece una misura “nazionalista” che rischia di penalizzare soprattutto i piccoli operatori domestici.
(Articolo scritto il 23 dicembre 2024)