La corsa a perdifiato delle sette mega cap di Wall Street ha pilotato al rialzo i maggiori indici azionari contribuendo per oltre i due terzi ai rialzi complessivi dell’equity nella prima metà dell’anno. Spulciando la composizione dei grandi indici a capitalizzazione emerge che le ‘magnifiche sette’ – così sono soprannominate Apple, Microsoft, Nvidia, Tesla, Alphabet, Amazon e Meta – determinano oggi le sorti di diversi indici a tal punto che è stato deciso un ribilanciamento straordinario del Nasdaq 100 per attutirne il peso. Con il ribilanciamento il peso delle 7 big tech è sceso dal 60% di metà anno al 44%, con quindi ancora una spiccata concentrazione.
Discorso analogo, anche se in proporzioni minori, per l’S&P 500 con i primi sette titoli che incidono per il 28%. Anche l’Msci World, l’indice globale più utilizzato e che al suo interno annovera oltre 1.500 titoli, le big seven incidono per oltre il 18% (dati al 14/08/2023) con Apple e Microsoft che da sole sono arrivate a rappresentare quasi il 10% dell’interno azionario globale.
Vantaggi e insidie
In un mondo a bassa crescita come quello attuale l’essere sbilanciati sulle big tech, principali beneficiarie dei forti progressi dell’intelligenza artificiale, è un punto a favore, ma nasconde anche delle insidie. La maggiore concentrazione dei più famosi indici market cap è infatti un potenziale fattore di rischio soprattutto per quegli investitori che presentano dei portafogli semplici con una componente azionaria prevalentemente allocata su indici quali Msci World, S&P 500 o Nasdaq.
Nel concreto, un investitore che possiede un etf con sottostante l’Msci World si attende un livello di diversificazione elevato del suo investimento sia a livello di esposizione sui diversi titoli che a livello settoriale e geografico. Invece si ritrova con una manciata di titoli, tutti tech, che pesano per quasi un quinto dell’intero indice e in aggiunta quasi il 70% dell’indice risulta composto da società statunitensi.
“Il miglior modo per evitare un rischio di concentrazione eccessiva consiste nella diversificazione per area geografica e per asset class – asserisce Davide Petrella, Portfolio Manager di Moneyfarm -inserendo in portafoglio strumenti legati all’andamento di indici azionari europei, asiatici e dei paesi emergenti si riduce, infatti, il rischio di essere sovra-investiti nei big tech americani senza sacrificare il rendimento atteso del proprio portafoglio”.
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Avere nella parte core del portafoglio degli etf legati a indici market cap più concentrati che in passato può trasformarsi in un boomerang e stride con la regola cardine della diversificazione del rischio. “Dipende da come intendiamo lo strumento, l’etf può avere più scopi, fermo restando che il suo scopo principale è fare tracking di un determinato indice. E’ chiaro che se un titolo incide molto in un indice classico lo si prende così com’è”, argomenta Lorenzo Scarselli, head of distribution di BlackRock Italy. “Considerazioni diverse le possiamo fare invece per gli etf tematici – aggiunge l’esperto – con dei casi in cui andiamo a fare equal weighting delle aziende sottostanti, per cui si tende a costruire indici equiparati con delle tecniche quantitative”. L’investimento tematico è visto come un tassello per aumentarne la diversificazione, tenendo ben a mente i rischi associati e quindi Moneyfarm sottolinea come gli etf tematici possono risultare “una scelta vincente solo se ben dosati all’interno di un portafoglio già a sua volta ben diversificato”.
Tutti con lo stesso peso
Tra le possibili contromisure per riequilibrare il portafoglio ci sono gli indici equal weight puri che prevedono che tutti i titoli abbiano lo stesso peso; la conseguenza è che i primi dieci titoli dell’Msci World equal weight pesano complessivamente solo lo 0,94% rispetto al 20% della versione a capitalizzazione, la tecnologia è solo il terzo settore e il dominio dei titoli di Wall Street è decisamente inferiore (43,2% del totale). A livello di performance questa diversa composizione si traduce in rendimenti più contenuti: +7% medio annuo nell’ultimo decennio rispetto al +10% dell’Msci World classico. Guardando l’andamento dal giugno 2008 a oggi, i grafici dei due indici si sovrappongono fino allo scoppio della pandemia, da lì in avanti l’Msci World ha preso il largo proprio in virtù della marcia in più delle mega cap.
Tornando al Nasdaq 100, l’etf in versione equal weight è stato da poco lanciato in Europa da Invesco. “Un approccio ponderato in base alla capitalizzazione di mercato funziona bene in molti contesti di mercato, ma gli investitori preoccupati per l’elevato peso delle azioni più grandi possono trovare una maggiore diversificazione con un approccio di pari ponderazione”, rimarca a We Wealth Fabrizio Arusa, Senior Relationship Manager – Etf Specialist di Invesco in Italia.
Una diversificazione spiccata caratterizza gli etf che replicano indici quali Msci All Countries World o ‘ACWI’ che comprendono anche i mercati emergenti andando così ad ammortizzare il peso delle big tech e dell’azionario Usa. Ci sono poi gli etf che si rifanno a indici Value dove la ponderazione si basa sui fondamentali. Così nell’Msci World Value il settore IT è solo al quindi posto per peso.
Gli indici low volatility invece prevedono la selezione e ponderazione in base alla volatilità dei titoli e nel caso dell’Msci World low volatility addirittura nessuna delle mega cap tech figura nella top ten; va però notato che il suddetto indice è popolato da meno titoli (280) e si presta principalmente a un portafoglio più difensivo in grado di ammortizzare fasi ribassiste (lo scorso anno -9% circa rispetto al quasi -18% del benchmark). “Lo strumento di per sé è valido – puntualizza Petrella di Moneyfarm – ma è importante saperlo dosare nel momento idoneo e nella giusta quantità, all’interno di un portafoglio diversificato, anticipando con accuratezza le fasi di stress in cui un approccio low volatility può risultare vincente”.