Non è un caso che il Partito comunista cinese abbia formulato il 14° piano quinquennale e fissato gli obiettivi strategici da qui al 2035 mentre noi non abbiamo neppure la minima idea di che cosa accadrà nei prossimi tre mesi.
La globalizzazione sta incontrando gravi ostacoli e segna il passo, la concorrenza tecnologica si è intensificata e i rischi geopolitici aumentano: e la risposta di Pechino è chiara. La Cina enfatizzerà la circolazione interna e senza chiudere le porte al mondo incoraggerà l’economia e i consumi domestici in parallelo agli scambi internazionali, in particolare nel settore dei sevizi della finanza e del welfare. Si chiama “dual circulation”, la doppia circolazione. L’innovazione tecnologica guiderà l’industria manifatturiera cinese e la spingerà verso l’alto nella catena del valore globale, assicurando strategicamente l’approvvigionamento interno. Il raggiungimento dell’indipendenza in settori chiave, come la ricerca scientifica e la finanza, dovrebbe essere un obiettivo strategico primario. Le tecnologie rilevanti per i semiconduttori, il 5G e l’informatica quantistica, tra le altre, sono tutte nel nuovo piano quinquennale insieme all’accelerazione, proposta dal presidente Xi Jinping nel suo discorso all’Onu, nella marcia per la liberazione dai combustibili fossili. I cinesi insomma vedono il futuro. Ma non solo loro. In questi ultimi tempi si è discusso molto della Nuova Guerra Fredda economica tra Usa e Cina. In realtà si è scoperto che le grandi banche d’affari americane proprio quest’anno, in coincidenza con una certa liberalizzazione del mercato cinese, sono sbarcate a Pechino e Shanghai mentre le società cinesi hanno moltiplicato le quota- zioni sui mercati azionari americani e a Wall Street: tutto questo in piena era Trump, mentre i media parlavano soltanto dei dazi commerciali imposti da Washington alla Cina e delle sanzioni a società come Huawei e Tik Tok.
C’è un’altra storia da raccontare sulle relazioni Washington-Pechino e anche sul famoso “decoupling”, lo sganciamento dell’economia americana dalla Cina. Nel campo della finanza le cose vanno molto diversamente. Jp Morgan sta completando un’operazione da un miliardo di dollari per acquisire il pieno controllo del China International Fund Management. Goldman Sachs si prepara a essere la prima banca d’investimento straniera a essere operativa sul mercato cinese. Morgan Stanley ha preso il controllo di maggioranza della società di investimento azionario che tempo fa aveva aperto sul mercato cinese. Citigroup si è assicurata la licenza per essere la prima banca straniera operativa e di credito sul territorio della repubblica popolare. Anche Blackrock, società di investimento gigantesca con oltre seimila miliardi di dollari di patrimonio e definita la più grande e influente “banca ombra” del mondo, ha ormai il pieno controllo del suo fondo di investimento cinese e si prepara ad aprire a Shanghai un nuovo quartier generale.
La verità è che i cinesi hanno in parte abbassato le barriere e per questo ora stanno arrivando le grandi banche straniere, i fondi di investimento e le assicurazioni internazionali che promettono di rendere ancora più compenetrata l’economia mondiale con quella della repubblica governata dal partito comunista e dal suo leader Xi Jinping. Ovviamente tutti puntano sulla crescita del mercato cinese e sull’ascesa della sua classe media, dunque sulla necessità di sviluppare nuovi sistemi assicurativi e pensionistici. E soprattutto la Cina ritiene che avere amici ai “piani alti” e a Wall Street possa diventare un rilevante strumento di soft power per allentare le tensioni geopolitiche.
Anche la Russia sta rivedendo i suoi tradizionali rapporti con la Cina.
Un’alleanza militare tra Russia e Cina “non è ancora un obiettivo ma in linea di principio non la escludiamo. Vedremo”. Così ha detto Vladimir Putin il 22 ottobre nel corso della riunione annuale del think tank moscovita Valdai Club.
Il capo del Cremlino non ha quindi escluso l’ipotesi che il partenariato con la Cina approdi a un’alleanza militare strutturata, in chiave antiamericana e antioccidentale. “Tutto è ipotizzabile”, ha sentenziato, laconico, ma non troppo. La Cina è il primo acquirente di petrolio russo e grazie agli idrocarburi è stabilmente il primo partner commerciale del Paese, con una quota del 13,4% delle esportazioni totali della Federazione russa. Mosca e Pechino si consultano e coordinano sui principali dossier internazionali, votano all’unisono all’Onu, collaborano in seno a organizzazioni multilaterali tese a contrastare gli Usa, come l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, e conducono esercitazioni militari congiunte. I militari russi in passato hanno opposto forti resistenze al trasferimento di tecnologie all’avanguardia agli “amici” cinesi. Poi però è stato firmato un contratto per la vendita dei più avanzati sistemi missilistici russi di difesa aerea, gli S-400, e sono stati avviati progetti di ricerca e sviluppo congiunti per la produzione di motori per razzi e droni.
La Russia punta a dialogare con Pechino da partner privilegiato. Non solo perché dagli europei e dagli Usa non sono in vista aperture, ma perché con Pechino bisogna fare i conti nella prospettiva di un dichiarato duopolio Usa-Cina, se non proprio della Cina come egemone. La pandemia forse ci dirà se questi calcoli sono giusti o sbagliati.
(Articolo apparso sul numero di novembre del magazine We Wealth)