Durante l’insediamento di Trump erano presenti molte figure globali di spicco e, tra queste, anche gli imprenditori tech erano pronti in prima fila. Non solo Musk, ormai presenza fissa accanto al nuovo presidente, ma anche Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Sundar Pichai, Tim Cook, Sam Altman e Shou Zi Chew. Cos’hanno in comune tra di loro i grandi magnati del tech? Sono tutti volti che arrivano dal mondo del venture capital, lì per dimostrare una certa simpatia nei confronti del tycoon. In effetti, nonostante il cuore delle startup americano batta in California, che rimane in larga parte liberale, sono molte le aziende che hanno dimostrato da subito un forte supporto per Trump, per le sue politiche a favore delle nuove quotazioni e dello stock market. In effetti, se da un lato è vero che più di 700 venture capitalist avevano espresso il loro supporto per Kamala Harris, con il famoso motto “VCs for Kamala”, dall’altro anche il movimento pro-Trump è molto forte, spinto dall’interesse del neo-eletto presidente di puntare sulle little tech. A giocare a favore del tycoon c’è infatti anche il profondo legame tra il mondo delle startup e l’intelligenza artificiale, tematica su cui i venture capitalist americani investiranno di più di tutte le altre industry messe insieme. In generale, il settore imprenditoriale statunitense è fortemente intrecciato con il mondo del venture capital: secondo i dati raccolti National Venture Capital Associations, relativi al 2023, il 77% della capitalizzazione di mercato americana arriva da aziende VC e il 92% di spese per innovazione arrivano da questo comparto.
La ricetta per una startup di successo
Ma in un mondo in cui l’interesse per le startup è molto forte, eppure la strada più probabile è il fallimento – sono infatti pochissime le idee che riescono a prendere forma e trasformarsi trovando il successo – come possono le giovani aziende aumentare le loro chance di successo nel lungo termine? Ne abbiamo parlato insieme a Marta Zava, docente e ricercatrice del dipartimento di finanza dell’Università Bocconi. Per prima cosa, secondo l’esperta, è importante sottolineare che il fallimento non è un monte invalicabile, ma è la norma e che non esiste una ricetta perfetta per creare un’azienda di successo. Avere un’idea geniale è importante, ma non abbastanza, non vale nulla senza un’esecuzione perfetta, senza la fame di cambiamento. Facebook, ad esempio, non è stato il primo social media, né tanto meno il primo a raggiungere mercati diversi, ma Zuckerberg è stato in grado di sviluppare un prodotto in grado di tenere alta l’attenzione delle persone e a espandersi comprando altre aziende simili. Un aspetto cruciale per aziende venture capital è il desiderio di fare di più, il saper sopravvivere, essere in grado di adattarsi alle esigenze del cliente. Secondo l’esperta “sopravvive chi è capace di cambiare la sua idea, il nome, il modello di business e anche l’obiettivo”. Prendiamo l’esempio di Amazon, inizialmente Jeff Bezos aveva scelto il nome di Cadabra per la libreria online che sarebbe poi diventata il colosso del retail che oggi tutti usiamo. Insomma, una buona idea iniziale è importante, ma a fare la differenza è la capacità del team iniziale e quanto un team è disposto ad adattarsi, portando un buon prodotto, buone idee per la commercializzazione.
Tutti questi ingredienti sono fondamentali per sviluppare una startup di successo, ma non sempre sono sufficienti. Dalle ricerche di Zava, raccolte nel paper “How do Venture Capitalists become influential?”, risulta che i venture capitalist di successo nel lungo termine sono quelli che riescono a ottenere che altri investitori, già forti, riconosciuti e con modelli di business consolidati, investano nel loro portafoglio. In tal senso, la capacità di osare nel selezionare aziende all’avanguardia è fondamentale, anche se non esiste una sola regola aurea valida per tutti. Il compito dei venture capitalist va ben oltre i soli mezzi finanziari, ad esempio nel caso di startup che voglia entrare in un settore con forte incertezza legislativa, allora il coinvolgimento di un investitore pubblico potrebbe fare la differenza.
Se da un lato per le startup sopravvivere e crescere non è facile, dall’altro entrare nell’universo del venture capital e selezionare i fund returner potrebbe essere complesso anche per gli investitori. Si tratta di un vero e proprio terno al lotto, un mercato molto rischioso, e solo ritorni alti e svariati multipli possono giustificare un tale rischio. A spingere gli investitori, infatti, solitamente non è solo il desiderio di rendimenti interessanti, ma anche tematiche molto più personali, la capacità di essere parte attiva di un processo innovativo, con il potenziale di trasformare il mondo in cui viviamo. Ma visto l’alto tasso di incertezza e rischio, strumenti di investimento come gli inglesi Venture Capital Trust, una forma di private equity quotata in borsa, paragonabile agli investment trust nel Regno Unito, o gli Eltif possono aiutare.
Italia e venture capital: le opportunità partono dalle imprese
Ma a che punto si trova l’Italia? Parlando di venture capital, la mente vola subito verso gli Stati Uniti o, volendo guardare più vicino a casa, al Regno Unito, ma questo non significa che il Paese tricolore non abbia le possibilità per crescere. L’Italia, secondo Zava, “ha tutte le carte in regola per giocare con i grandi player mondiali grazie a due fattori. Per prima cosa il tessuto imprenditoriale: nello stivale d’Europa le piccole medie imprese sono forti e in un mondo in cui le little tech iniziano a farsi sentire, c’è futuro per le piccole imprese italiane. In parallelo l’Italia è la patria delle invenzioni. I ricercatori italiani sono quelli con più ricerche all’attivo, ma troppo spesso trovano chi li ascolta solo all’estero”. Insomma, tra l’attitudine e uno storico favorevole, le carte ci sono, ma è necessario credere nel sistema Italia e dare terreno fertile ai talenti per sviluppare qui le loro invenzioni. La possibilità di crescita esiste, insieme il tessuto imprenditoriale e la capacità di inventiva sono le fondamenta perfette, quello che manca è un ecosistema favorevole alla commercializzazione delle innovazioni e una legislazione agile al passo con le ultime tecnologie.
Articolo tratto dal n° di febbraio 2025 di We Wealth.
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