“Italia sconta il peccato originale dell’alto debito pubblico…”. “Il fardello del debito limita i nostri spazi di manovra…” – Le stanche litanie sul peso di questa vituperata soma del debito sono la cifra distintiva di tanti commenti, in Italia e all’estero. Meno conosciute sono le cifre distintive di altri – e confortanti – fondamentali dell’economia italiana; e non parliamo di quello che già sappiamo – l’export, il tessuto produttivo – ma di quello che molti non sanno e che riguarda sia l’economia che la finanza pubblica.
«A tale of two cities», è un famoso romanzo di Charles Dickens: questo “racconto di due città” potrebbe essere parafrasato in un ‘racconto di due periodi’, per descrivere i cambiamenti strutturali in corso nell’economia italiana. I due periodi raffigurati nei grafici coprono due intervalli. Il primo, gli anni dal 2009 al 2019: dall’anno che seguì la Grande recessione (la quale fu poi a sua volta seguita dalla crisi da debiti sovrani – le disgrazie non vengono mai sole…) all’anno che precedette l’altra disgrazia: la pandemia da Covid. Il secondo periodo inizia invece dal 1° trimestre del 2020, quando deflagrò il malefico virus SARS-Covid-2, e termina agli ultimi dati disponibili: il terzo trimestre 2023. E i due grafici nella pagina a fianco descrivono – facendo 100 l’inizio dei due periodi – gli andamenti, per la media Eurozona e per l’Italia, di due grandezze chiave: il Pil e la produttività.
Orbene, come si vede, nel periodo dal 2009 al 2019 l’Italia era in coda all’Europa: sia per quanto riguarda la crescita del Pil che per quanto riguarda la produttività. Le lamentele sulla debolezza della produttività come fattore della scarsa crescita dell’Italia erano quindi pienamente giustificate. Ma tutto cambia nel secondo periodo. Che la nostra economica sia andata crescendo, a partire dal 2020, più che l’Eurozona è cosa nota da tempo. Meno noto è che anche l’altra variabile – la produttività, appunto – è cresciuta nettamente di più della media Eurozona.
L’ottima performance dell’occupazione in Italia è una ‘rosa’ dovrebbe avere una ‘spina’: se gli occupati aumentano la produttività, a parità di crescita del prodotto, potrebbe diminuire. Ma ciò non è successo: la crescita del prodotto è stata tale da trascinare verso l’alto anche la produttività, invertendo, come si vede, la classifica del primo periodo. Sì, qualcosa è cambiato nell’economia italiane, ed è nostro compito quello di custodire e proteggere questa svolta nel nostro sentiero di crescita.
E anche sulla finanza – pubblica e privata – le notizie sono più buone di quel che si creda. La Banca d’Italia ha rilasciato (a novembre 2023) un altro Rapporto sulla Sostenibilità finanziaria, che contiene interessanti notizie. Cominciamo col CCyB («Chi era costui?», avrebbe detto Don Abbondio): si tratta di un ‘Countercyclical Buffer’, cioè a dire di una riserva che le banche debbono detenere, secondo le regole della vigilanza europea, per far fronte a una crisi dell’economia. Non tutte le banche sono tenute a mettere da parte un CCyB: solo quelle che partono male, cioè a dire che mostrano, hic et nunc, qualche fragilità.
Ebbene, dice la Banca d’Italia, il CCyB è stato quantificato a zero (virgola zero) per noi, data la solidità del sistema bancario italiano. E gli altri Paesi? Dei 30 Paesi dello Spazio economico europeo ben 19 – inclusa Francia e Germania – hanno un CCyB positivo, mentre sono 9 quelli che si permettono il lusso – come l’Italia – di tenerlo a zero; e di quei 9 l’Italia è uno dei 3 che non hanno avuto bisogno di attivare neanche il SyRB (‘Systemic risk buffer’), cioè le riserve di capitale a fronte del rischio sistemico.
Veniamo a un secondo e fondamentale aspetto, per quanto riguarda la finanza pubblica. L’indicatore di sostenibilità, definito «come l’aumento immediato e permanente dell’avanzo primario strutturale necessario perché sia soddisfatto il vincolo di bilancio intertemporale delle Amministrazioni pubbliche» è lusinghiero per l’Italia: minore di quanto richiesto per la media Eurozona e gli altri maggiori Paesi dell’area (Germania, Francia e Spagna).
Articolo tratto dal n° di dicembre di We Wealth.
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