Wirecard, il guizzo di Borsa
Stella del giorno alla Borsa di Francoforte sembra essere Wirecard. La (ex?) stella del fintech globale (pagamenti online fra società) il 28/6 veleggia intraday al 196% (3,84 euro), per poi chiudere la giornata a 3,23 euro (+152%). Indiscrezioni di stampa del Frankfurter Allgeimeine Zeitung vorrebbero infatti che la rivale francese Worldline e altri fondi di investimento stiano per rilevare “una parte importante” di asset del colosso che da inizio anno ha bruciato in Borsa il 97% del suo valore. Quale occasione migliore. In seguito al buco di 1,9 miliardi di euro iscritti a bilancio, Wirecard ha presentato domanda di insolvenza la scorsa settimana (25/6), pur avendo precisato che continuerà a essere operativa e che la decisione di avviare le procedure concorsuali resti “in fase di revisione”.
Lo scandalo Wirecard ha avuto effetti anche sull’Italia
La società ha anche aggiunto di avere avviato colloqui con le autorità del Regno Unito, dopo che la Financial Conduct Authority britannica ha sospeso le attività della Wirecard Card Solutions. Vicenda, quest’ultima, che ha avuto riflessi anche sul proximity banking dell’Italia tramite SisalPay|5. La società, prima proximity banking company italiana, nata nel 2019 da Sisal e Banca 5 (Intesa Sanpaolo), ha subito infatti suo malgrado le conseguenze del crac. Venerdì 26 giugno, oltre 325mila clienti si sono ritrovati con una carta prepagata completamente bloccata. Motivo? Fca ha bloccato l’operatività di tutte le carte Wirecard a livello mondiale. Tra queste, figurano appunto le carte SisalPay. La società italiana ha risposto repentinamente e i clienti hanno potuto ricevere il rimborso del saldo oppure trasferirlo su una nuova carta prepagata. La vicenda tuttavia fa capire quanto sia ampia la cassa di risonanza dello scandalo.
Flashback: cosa è successo
Il buco di bilancio, diventato una voragine, si deve a conti correnti di due banche filippine in cui Wirecard depositava, per mezzo di fiduciari, gli incassi dei mercati in cui, non possedendo licenza, operava tramite terze parti (outsourcing). Ora quei soldi sono spariti: dal 2016 nessuno controllava i conti correnti filippini, e le due banche negano ogni coinvolgimento nella vicenda. In seguito all’ammissione dell’ammanco, Mark Braun, fondatore e ceo della società, è stato arrestato (e poi rilasciato su cauzione) con l’accusa di aver gonfiato gli introiti societari per aumentarne il valore di mercato. Braun ha negato ogni addebito. Il primo a sollevare dubbi sul reale ammontare dei ricavi di Wirecard è stato il Financial Times, nell’agosto 2018.
Uomo chiave potrebbe l’avvocato d’affari Mark Tolentino che, secondo la stampa tedesca, ha operato fino a oggi come agente fiduciario per conto di Wirecard, all’interno del centro finanziario filippino di Makati City.
Sopravvissuta allo scoppio della bolla del 2000
La società nasce nel 1999. Oggi è presente in tre continenti e fra i suoi oltre 300.000 clienti figurano anche i colossi cinesi dei pagamenti mobili, Alipay e WeChat.
Al suo debutto, Wirecard si occupava di pagamenti per i siti web di gioco d’azzardo e del porno. Il suo è sempre stato un business stabile, tanto è vero che è sopravvissuto allo scoppio della bolla di Internet, nel 2000. All’inizio del 2019, la società aveva una capitalizzazione di mercato di 17 miliardi di euro, paragonabile a quella di Deutsche Bank. ma con un ammontare di dipendenti e fatturato inferiore di 15 volte.
Un’ombra sulle società di revisione: non solo Ey
Lo scandalo travolge anche la società di revisione contabile Ey, che aveva espresso dubbi in merito alle consistenze di quei conti. Tuttavia, aveva firmato lo stesso il bilancio. Ora, un’associazione degli azionisti del colosso dei pagamenti ha presentato denuncia penale presso la Procura di Monaco, dove ha sede Wirecard. Il revisore ha replicato di essere stato ingannato assieme a tutti gli altri. “È chiaro che si trattasse di una frode elaborata e sofisticata, che ha coinvolto molte parti in tutto il mondo in diversi enti, con lo scopo deliberato di ingannare”. Tuttavia, mail visionate dal Wall Street Journal mostrano che Ey aveva sollevato dubbi sulla posta di bilancio già nel 2016. Ma il diniego alla firma del bilancio da parte della società di revisione è arrivato solo nella seconda metà del giugno 2020, relativamente al bilancio 2019. Un dato: l’importo fantasma sarebbe pari a oltre il 25% del fatturato totale del gruppo.
Per verificare le accuse del Ft, Wirecard coinvolge anche un altro revisore, Kpmg. Tuttavia, ad aprile Kpmg pubblica un rapporto in cui ammette di non poter verificare gli accordi con terzi per mancanza di collaborazione. Con la stessa motivazione, Ey comunica di non essere in grado di reperire sufficienti prove per confermare i saldi sui conti fiduciari.
La posizione dell’Ue e la BaFin
Intanto, l’Unione Europea intende chiedere un’indagine sull’operato del BaFin. Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione europea, ha in programma di procedere eventualmente con un’indagine formale.
Lo scandalo Wirecard “è un completo disastro e una vergogna”. Con queste parole, Felix Hufeld ha definito il buco da 1,9 miliardi di euro nei conti del colosso fintech tedesco. Il presidente della Bafin, la “Consob” tedesca ha ben ragione di esprimere parole così dure: la società è una blue chip del Dax, superiore per capitalizzazione alla seconda banca tedesca, Commerzbank. Definire Wirecard semplicemente una fintech, è riduttivo. La società è un colosso operante in tre continenti: assicura i pagamenti per le transazioni effettuate online dalle imprese, anticipando i costi e incassando un premio per il rischio.
Tuttavia, la vicenda del colosso Wirecard non è strettamente legata al fatto che si tratti di “torbido” fintech. Lo ribadisce dall’Italia anche Fabio Brambilla, presidente di Assofintech. “Società come queste, autentiche stelle di mercato, sentono una enorme pressione per l’aumento costante del fatturato. Si tratta di una frode talmente grossa che esula dalla geografia o dalla tipologia di società. Il fatto che si tratti di una fintech non è rilevante. Gli strascichi di questa vicenda saranno lunghissimi”.
Un colpo alla Germania post Brexit
Investitori e politici ritengono che lo scandalo abbia portato alla luce la debolezza del regolatore finanziario tedesco. La questione più grave è che l’episodio indebolisce la posizione di Francoforte proprio nel momento in cui compete con Parigi e Amsterdam per diventare l’hub finanziario Ue dopo la Brexit. Fabio De Masi, vice capogruppo del partito di sinistra tedesco e membro del comitato finanziario del Bundestag, lamenta i campanelli d’allarme ignorati dall’authority. Lo stesso ministro dell’Economia e delle finanze tedesco, Olaf Scholz, ha affermato che le autorità di regolamentazione “non hanno funzionato efficacemente nella supervisione”.
L’impatto su Softbank
Nell’aprile del 2019, Wirecard annunciava una partnership strategica con una consociata della giapponese SoftBank Group (uno degli investitori tech più importanti al mondo). Quest’ultima aveva infatti acquistato 900 milioni di euro in bond convertibili dalla società.
Nell’aprile del 2019, Credit Suisse, consulente di SoftBank, impacchetta queste obbligazioni rivendendole a investitori di terze parti. L’accordo, poi completato a settembre, ha agevolato il prezzo delle azioni della società, già all’epoca in odore di presunta irregolarità contabile. Le obbligazioni quotano adesso a 40 eurocent. Tra gli altri detentori dei bond vi sono poi i fondi comuni gestiti da Bnp Paribas e da Credit Mutual, una banca cooperativa francese.
Secondo alcune fonti, l’impatto su SoftBank e Credit Suisse potrebbe essere limitato da un punto di vista finanziario, dato che nessuna delle due parti ha una significativa esposizione ai bond di Wirecard. Nel frattempo, SoftBank ha reso noto che non collabora con i servizi di rating finanziario di Moody’s dal 25 marzo. La dichiarazione è arrivata dopo il giudizio “Ba3” da parte della società di revisione, con il taglio dell’outlook da under review a negativo. Sempre SoftBank Group si aspetta adesso di contabilizzare circa 600 miliardi di yen (5,6 miliardi di dollari) per la vendita della propria quota in T-Mobile (casa madre Deutsche Telekom). La vendita fa parte del proprio programma di cessione di asset da 4.500 miliardi di yen, annunciato lo scorso marzo.