Il Superbonus ha rivoluzionato il settore edilizio, incentivando milioni di italiani a ristrutturare le proprie abitazioni con generosi sgravi fiscali. Ma ora, a lavori conclusi (e con il Superbonus di fatto uscito di scena), molti si trovano ad affrontare un nuovo scenario: l’aggiornamento della rendita catastale e le sue conseguenze fiscali. Un aumento della rendita può significare imposte più alte, dall’IMU all’imposta di registro. E chi decide di vendere deve fare i conti con le regole sulla plusvalenza, che variano a seconda del periodo trascorso dalla fine dei lavori e del meccanismo di detrazione scelto. In questa intervista, analizziamo con Tancredi Marino, partner presso lo studio legale Dwf, tutti gli aspetti chiave per capire come muoversi e quali strategie adottare per evitare sorprese.
Allora, partiamo dalla base: quali interventi edilizi comportano l’obbligo di aggiornare la rendita catastale dell’immobile?
L’aggiornamento della rendita catastale, ovvero il nuovo classamento dell’immobile, diventa obbligatorio quando una ristrutturazione o un ampliamento ne modificano le caratteristiche. Questo vale anche per gli interventi che hanno dato diritto al credito d’imposta del cosiddetto “Bonus 110%”, come l’isolamento termico, i lavori sulle parti comuni degli edifici e la sostituzione degli impianti di climatizzazione o riscaldamento/raffrescamento dell’acqua negli edifici unifamiliari.
Tali interventi erano previsti dall’articolo 119 del Decreto Rilancio (D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77), successivamente modificato dall’art. 24 del D.L. 10 agosto 2023, n. 104, convertito con modificazioni dalla L. 9 ottobre 2023. In questi casi, i contribuenti devono presentare la domanda di variazione della rendita catastale tramite la procedura DOCFA, affidandosi a un tecnico di fiducia. L’Agenzia delle Entrate avrà poi 12 mesi per pronunciarsi in via definitiva o richiedere integrazioni alla domanda.
Quali sono le conseguenze fiscali derivanti da un aumento della rendita catastale, in particolare riguardo all’IMU e ad altre imposte correlate?
L’aumento della rendita catastale comporta un incremento della base imponibile per il calcolo dell’IMU, che varia a seconda della località e della tipologia dell’immobile, seguendo specifici moltiplicatori e aliquote. Inoltre, in caso di cessione di abitazioni tra privati con applicazione del cosiddetto “prezzo valore”, ovvero il metodo di calcolo basato sulla rendita catastale, si genera anche un aumento dell’imposta di registro, applicata generalmente al 9%.
Quali sono le procedure e le tempistiche per contestare un aumento della rendita catastale ritenuto non giustificato?
L’Agenzia delle Entrate, con il provvedimento del 7 febbraio 2025, ha introdotto alcuni criteri selettivi per inviare comunicazioni ai contribuenti, incentivandoli ad adeguare spontaneamente le rendite catastali con oneri ridotti tramite il cosiddetto “ravvedimento operoso”. Se il contribuente non ritiene congruo il valore assegnato, può opporsi presentando ricorso presso la Corte di giustizia tributaria.
Quando scatta l’imponibilità sulla plusvalenza derivante dalla vendita di un immobile ristrutturato con il Superbonus e come viene determinata l’aliquota fiscale?
La normativa fiscale prevede la tassazione della plusvalenza in caso di vendita di un immobile che ha beneficiato del Superbonus 110% se la cessione avviene entro dieci anni dalla fine dei lavori. Sono esentate da questa tassazione le abitazioni pervenute per successione e la prima casa.
L’aggiornamento della rendita catastale a seguito di interventi agevolati dal Superbonus può incidere sul valore dell’immobile, ma non determina automaticamente un aumento della plusvalenza imponibile. La tassazione dipende dal momento della vendita e dalla modalità con cui è stato fruito il Superbonus (detrazione diretta, sconto in fattura o cessione del credito).
Secondo il nuovo articolo 68 del TUIR, la plusvalenza si calcola come la differenza tra il prezzo di vendita e il costo di acquisto o costruzione, includendo tutte le spese inerenti, comprese quelle di ristrutturazione. Se l’immobile è stato ricevuto in donazione, si prende come riferimento il costo sostenuto dal donante.
Cosa cambia a seconda della modalità di fruizione e del momento della vendita dell’immobile?
La normativa distingue due scenari: se la vendita avviene entro cinque anni dalla fine dei lavori, non è possibile includere nel calcolo della plusvalenza le spese relative agli interventi coperti dal Superbonus al 110%, ma solo se il proprietario ha optato per lo sconto in fattura o la cessione del credito.
Se la vendita avviene dopo cinque anni, il 50% delle spese per gli interventi agevolati può essere aggiunto al costo di acquisto o costruzione, sempre a condizione che si sia usufruito del Superbonus al 110% con sconto in fattura o cessione del credito.
Se il proprietario ha utilizzato la detrazione fiscale diretta, invece, tutte le spese possono essere considerate nel calcolo della plusvalenza. Inoltre, se il Superbonus è stato applicato solo in parte al 110% e in parte a un’aliquota inferiore (ad esempio, 70%), solo la parte relativa al 110% viene esclusa dal calcolo della plusvalenza, mentre il resto può essere incluso tra i costi.
Quali strategie fiscali possono adottare i contribuenti per minimizzare l’imposizione della plusvalenza in caso di vendita di immobili ristrutturati con il Superbonus?
Una strategia per ridurre l’imposizione fiscale sulla plusvalenza è quella di attendere almeno cinque anni dalla fine dei lavori prima di vendere l’immobile. In questo modo, come previsto dalla normativa, il 50% delle spese sostenute può essere incluso nel costo d’acquisto, abbattendo l’importo della plusvalenza tassabile. In alternativa, il contribuente può valutare l’opzione di applicare l’imposta sostitutiva del 26% in sede di atto notarile, soluzione spesso più conveniente rispetto alla tassazione ordinaria, salvo particolari situazioni in cui vi siano perdite compensabili nello stesso anno fiscale.