Le imprese dovranno evitare o attenuare gli effetti negativi delle loro attività sui diritti umani e sull’ambiente
La direttiva si rivolge alle società a responsabilità limitata con oltre 500 dipendenti e un fatturato netto superiore ai 150 milioni. Ma non solo
Didier Reynders: “Non possiamo più chiudere gli occhi su ciò che accade a valle delle nostre catene del valore: abbiamo bisogno di cambiare il nostro modello economico”
A chi si rivolge
La proposta di direttiva si rivolge non solo alle imprese dell’Unione europea ma anche a quelle appartenenti a paesi terzi. Nel primo caso, si distinguono due gruppi: le società a responsabilità limitata con oltre 500 dipendenti e un fatturato netto a livello globale superiore ai 150 milioni di euro (definite come “gruppo 1”) e le altre società a responsabilità limitata attive in settori ad alto impatto, con più di 250 dipendenti e un fatturato pari o superiore a 40 milioni di euro (definite come “gruppo 2”). Per queste ultime, la stretta si applicherebbe due anni dopo rispetto al gruppo 1. Quanto invece alle imprese di paesi terzi, devono essere attive nel territorio dell’Unione e vantare una soglia di fatturato generata nell’Ue pari a quella indicata per i gruppi 1 e 2. Restano escluse le piccole e medie imprese.
Cosa prevede
Stando a quanto precisato in una nota ufficiale della Commissione europea, le imprese dovranno “individuare e, se necessario, evitare, far cessare o attenuare gli effetti negativi della loro attività” sui diritti umani (come il lavoro minorile e lo sfruttamento dei lavoratori) e sull’ambiente (come l’inquinamento e la perdita di biodiversità). Nel dettaglio, sono sette i passi che dovranno compiere:
- integrare il dovere di diligenza nelle politiche aziendali;
- individuare gli effetti negativi reali o potenziali sui diritti umani e sull’ambiente;
- prevenire o attenuare gli effetti potenziali;
- porre fine o ridurre al minimo gli effetti reali;
- istituire e mantenere una procedura di denuncia;
- monitorare l’efficacia delle politiche e delle misure di dovuta diligenza;
- e dar conto pubblicamente del dovere di diligenza.
Tra l’altro, le imprese appartenenti al gruppo 1 dovranno mettere in piedi una strategia commerciale volta a limitare il riscaldamento globale a 1,5° (in linea con quanto stabilito negli Accordi di Parigi del 2015). La proposta prevede poi l’obbligo per tutti gli amministratori di “istituire e controllare l’attuazione della dovuta diligenza e di integrarla nella strategia aziendale”, si legge nella nota. Tenendo conto dei diritti umani, dei cambiamenti climatici e delle conseguenze ambientali anche nelle loro decisioni. Tra l’altro, propone la Commissione, la loro remunerazione variabile potrebbe essere collegata proprio alla lotta al climate change.
I prossimi passi
Ricordiamo che la proposta dovrà passare ora al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio. Nel caso di un’eventuale adozione, gli Stati membri disporranno di un biennio per recepire la direttiva nel diritto nazionale. Più precisamente, oltre a vigilare sul rispetto degli obblighi di diligenza, i singoli Stati potranno prevedere anche specifiche ammende. E le eventuali vittime potranno allora volta intentare un’azione di responsabilità civile dinanzi ai tribunali nazionali competenti. La Commissione europea creerà invece una rete europea di autorità di vigilanza che metterà insieme i rappresentanti degli organismi nazionali in modo da favorire un approccio coordinato.
“Sebbene alcune imprese europee siano già leader nelle pratiche sostenibili, molte incontrano ancora difficoltà a comprendere e migliorare la propria impronta ambientale e i propri risultati in materia di diritti umani”, osserva il commissario per il mercato interno Thierry Breton. Stando ad alcuni dati raccolti dalla Commissione, circa il 70% delle imprese (che hanno preso parte allo studio preliminare sul dovere di diligenza nel 2020 e alla consultazione pubblica aperta del 2021, ndr) riconosce infatti la necessità di un quadro giuridico armonizzato su diritti umani e ambiente. Un terzo ammette di aver già intrapreso azioni sugli obblighi di diligenza nella catena di approvvigionamento, ma studi dimostrano che quando le aziende agiscono su base volontaria tendono a focalizzarsi sul primo anello della filiera mentre i diritti umani e l’ambiente vengono colpiti più frequentemente negli ultimi anelli della value chain. “La complessità delle catene del valore mondiali rende particolarmente difficile per le imprese ottenere informazioni affidabili sulle operazioni dei loro fornitori e la frammentazione delle norme nazionali rallenta ulteriormente i progressi nell’adozione delle buone pratiche”, spiega Breton. Poi conclude: “La nostra proposta garantirà che i grandi operatori del mercato assumano un ruolo guida nell’attenuare i rischi lungo le loro catene del valore, aiutando nel contempo le piccole imprese ad adattarsi ai cambiamenti”.