Abrdn intende eliminare l’espressione “sustainable leaders” da due fondi nel mese di febbraio, secondo quanto comunicato alla Sec
Nella seconda metà del 2023 sono stati lanciati solo sei fondi che promuovono caratteristiche ambientali, sociali e di buona governance
La corsa al lancio di nuovi fondi sostenibili rallenta. Almeno nella seconda metà dell’anno appena lasciato alle spalle. Secondo alcuni dati di Morningstar Direct visionati dal Financial Times, negli ultimi sei mesi sono sbarcati sul mercato solo sei prodotti che promuovono caratteristiche ambientali, sociali o di buona governance, a fronte dei 55 del primo semestre del 2023 e di una media annuale di circa 100 tra il 2020 e il 2022. Un trend che si accompagna a una progressiva rimozione delle etichette “Esg” dai nomi di alcuni fondi.
È il caso per esempio di Abrdn che, secondo quanto risulta al quotidiano economico-finanziario britannico e comunicato alla Securities and exchange commission (l’ente federale statunitense preposto alla vigilanza delle borse valori, ndr), intende eliminare l’espressione “sustainable leaders” da due dei suoi fondi nel mese di febbraio. Anche Morgan Stanley e Ubs hanno rimosso le etichette Esg da alcuni prodotti lo scorso anno. Il tutto mentre le strategie sostenibili ricevono un’attenzione sempre crescente da parte di autorità di regolamentazione, governi e investitori.
Eppure, se nel 2019, 2020 e 2021 i fondi sostenibili hanno tendenzialmente battuto i fondi tradizionali in termini di performance, nel 2022 e nel 2023 abbiamo assistito a un’inversione di marcia. Alyssa Stankiewicz, associate director of sustainability research di Morningstar, intercettata dal Financial Times, ha riconosciuto che negli ultimi mesi i fondi sostenibili hanno faticato a performare, ma ha sottolineato anche come la maggior parte dei deflussi del 2023 abbiano riguardato un singolo prodotto. Si tratta dell’Etf iShares Esg Aware Msci Usa di BlackRock, che ha perso oltre 9 miliardi di dollari di asset dopo essere stato rimosso da un portafoglio modello della società di investimento newyorkese.
I due fondi di Abrdn sopracitati, intanto, continueranno a considerare i fattori ambientali, sociali e di governance “più rilevanti” nella selezione dei titoli dopo aver rimosso l’etichetta “sustainable leaders”, ma enfatizzeranno fattori come la robustezza del business model e la solidità finanziaria, secondo quanto riferito dall’asset manager. L’eliminazione dell’espressione “sustainable leaders” dai nomi dei fondi interessati “è legata a un cambiamento nelle strategie dei fondi e non a un processo di rebranding”, ha dichiarato Abrdn. “Continueremo a offrire altri fondi in cui il termine sostenibile è presente nella nomenclatura”, ha aggiunto; nello specifico, altri due prodotti manterranno proprio l’etichetta “sustainable leaders”.
Cosa prevede la stretta della Sec sui nomi dei fondi
Ricordiamo che lo scorso settembre la Sec ha introdotto una nuova stretta sul naming dei fondi, imponendo che i prodotti debbano investire almeno l’80% del loro patrimonio in conformità con i loro nomi, inclusi quelli sostenibili. Gli asset manager avranno almeno due anni per adeguarsi. “In previsione dell’evoluzione normativa, abbiamo rinominato due fondi comuni monetari sostenibili statunitensi”, ha confermato a sua volta Ubs. Morgan Stanley, sollecitata dal FT, non ha invece rilasciato dichiarazioni in merito.
Under 35: il 60% non ha mai sentito parlare di Esg
Lanciando uno sguardo all’Italia, la sensibilità dei giovani in materia di ambiente sembrerebbe non accompagnarsi a una conoscenza diffusa della finanza sostenibile. Secondo un’indagine condotta da Banca d’Italia sull’alfabetizzazione finanziaria degli under 35 (più nello specifico dei giovani con un’età compresa tra i 18 e i 34 anni), il 60,3% dichiara di non aver mai sentito parlare dei criteri di sostenibilità ambientale, sociale e di governo societario in relazione alle decisioni di investimento finanziario. Tra coloro che ne hanno sentito parlare, solo il 12% ne tiene già conto nelle scelte di allocazione del portafoglio; il 18,3% lo farebbe se l’offerta di strumenti Esg fosse più ampia mentre il 9,5% afferma di conoscerli ma di non tenerne conto.