In un paese in cui usare Visa o Mastercard per fare acquisti all’estero è vietato, qualcosa sta cambiando. Il tradizionale limite draconiano al libero flusso dei capitali dalla Cina verso l’estero (Hong Kong inclusa) potrebbe essersi ammorbidito
Alle famiglie cinesi è permesso portare fuori dalla Cina un massimo di 50.000 dollari all’anno. Il limite – o meglio, la permissione – è lo stesso dal 2007. Se questi denari sono impiegati per spese turistiche o di istruzione, non si necessita nessuna ulteriore approvazione governativa. Cosa accadrebbe invece se le famiglie cinesi decidessero di acquistare titoli e prodotti assicurativi, ovvero di allocare queste risorse nel mondo del risparmio gestito internazionale? La domanda non è peregrina, dato che nel 2016 la Banca popolare cinese ha vietato ufficialmente l’uso di carte come Mastercard e Visa per gli acquisti internazionali, vietando a Unionpay (l’emittente di carte di credito dell’ex Celeste Impero) di acquistare prodotti assicurativi da Hong Kong. Acquistando polizze legate al risparmio in dollari di HK infatti, alcuni cittadini cinesi aggiravano il limite dei 50.000 dollari Usa.
Nonostante la sua impressionante crescita sui mercati internazionali da 40 anni a questa parte, la Cina ha mantenuto severi controlli ai movimenti di capitali (in uscita. Quelli esteri servono per foraggiare la crescita interna). Ma da quest’anno la morsa sui risparmi privati potrebbe allentarsi. Nel mese di giugno 2021 infatti Pechino ha approvato che un ammontare record di masse lasciassero il paese alla volta di investimenti. Il governo sarebbe anche in procinto di lanciare un programma congiunto con Hong Kong,
Wealth Connect, in base al quale le famiglie residenti nel meridione dello stato (la parte più sviluppata della nazione) potranno investire all’estero.
Il programma rappresenta il suggello di Hong Kong come snodo ufficiale del transito dei capitali. In base allo schema, i risparmiatori di nove città della Greater Bay Area (fra cui Shenzhen e Guangzhou) potranno investire fino a 154.000 dollari Usa in fondi a medio e basso rischio domiciliati nell’ex colonia britannica. Un escamotage per dare alla ricchezza delle famiglie cinesi accesso ai fondi internazionali. Wealth Connect funziona anche in senso inverso: gli investitori globali potranno comprare prodotti finanziari cinesi. E al momento del disinvestimento, dovranno mantenere il cash in renminbi prima di portarlo nuovamente fuori dai confini nazionali.
In valore assoluto i flussi sono piccoli (il programma di “connessione della ricchezza” presenta un tetto di 23,1 miliardi di dollari), e Bloomberg raffredda gli entusiasmi: a causa della soglia agli scambi, le grosse banche guadagneranno solo 500 milioni di dollari in commissioni. Ma per ora non si tratta di mero guadagno. La rivoluzione è culturale e rimanda all’ingresso del Paese di Mezzo nel WTO, ormai 20 anni fa. Esperienze come quella di Wealth Connect rappresentano il segno inequivocabile di un mondo (economico) prossimo al cambiamento. Banche, wealth e asset manager stanno a guardare con l’acquolina.
Stima Hsbc (dati Ft), che le famiglie cinesi avranno asset investibili pari a 46.300 miliardi di dollari entro il 2025. Se anche solo il 10% delle famiglie investisse 50.000 dollari all’estero, calcola la banca, ci sarebbe un afflusso di 2.400 miliardi di dollari nel mondo del wealth management globale. Un ammontare pari a quello del mercato obbligazionario Usa. In passato, ci sono state molte false partenze: un momentaneo allentamento dei movimenti dei capitali in uscita veniva messo in discussione a seconda della volatilità dei mercati. Stavolta però siamo di fronte al renminbi in rafforzamento. La gradualità confuciana del Dragone sta arrivando alla meta.
Alle famiglie cinesi è permesso portare fuori dalla Cina un massimo di 50.000 dollari all’anno. Il limite – o meglio, la permissione – è lo stesso dal 2007. Se questi denari sono impiegati per spese turistiche o di istruzione, non si necessita nessuna ulteriore approvazione governativa. Cosa accadre…
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