I private market sono una forma d’investimento da prendere in considerazione? Assolutamente sì. Ma a una condizione: devono essere approcciati nel modo corretto, cioè come un investimento a se stante e di lungo termine, che segue logiche molto diverse rispetto a quelle dei mercati pubblici. Entrambi gli argomenti – il “semaforo verde” e il relativo caveat – meritano di essere approfonditi.
La prima ragione per la quale vale la pena prendere in esame i mercati privati è che consentono di cogliere delle opportunità che semplicemente non sono disponibili nei mercati pubblici. Un esempio numerico aiuta a cogliere la dimensione del fenomeno: in Europa ci sono circa 63mila piccole e medie imprese non quotate con fatturato compreso tra 30 e 300 milioni di euro (fonte: Capital IQ, 2022). Un bacino ancora ampiamente inesplorato, se è vero che solo l’1,5% di queste pmi riceve annualmente investimenti di private equity (fonte: Invest Europe/Edc). Si tratta, per altro, di aziende che tipicamente si trovano in una fase meno matura del proprio ciclo di vita rispetto a quelle già approdate in Borsa. Una fase in cui le imprese di successo riescono a generare gran parte della propria crescita.
Il ruolo del private banking nel private market
Attraverso i private market, il private banking può quindi canalizzare risorse verso le aziende di settori strategici, promuovendo l’innovazione e lo sviluppo. Vale la pena ricordare che negli ultimi decenni, il panorama finanziario globale ha visto un’evoluzione significativa nel ruolo dei capitali privati e nella loro capacità di sostenere la crescita economica.
Il private banking non è soltanto un servizio esclusivo riservato ai grandi patrimoni per la protezione, gestione e trasmissione della ricchezza lungo le generazioni, ma anche un attore chiave nel sistema economico che facilita l’accesso a capitali per iniziative di crescita, tanto a livello imprenditoriale quanto a livello infrastrutturale.
A differenza del retail banking tradizionale, il private banking può mobilitare risorse più consistenti e, grazie all’ampiezza delle competenze coinvolte, offrire una gamma di strumenti finanziari altamente sofisticati: da questo punto di vista, l’evoluzione normativa e l’innovazione di prodotto offrono una gamma via via sempre più ampia di soluzioni che, da un lato, consentono un accesso più ampio e “democratico” da parte degli investitori privati e, dall’altro, permettono di mitigare il profilo sostanzialmente illiquido di questi asset.
È significativo osservare come una percentuale non trascurabile dei clienti del private banking è rappresentata da imprenditori o ex imprenditori: una categoria di clienti un po’ “speciale”, che anche nelle scelte d’investimento tende a privilegiare un contatto diretto con l’economia reale.
I capitali privati e il private banking a supporto dello sviluppo economico
I capitali privati, specialmente quelli provenienti da individui facoltosi e gestiti tramite servizi di private banking, rappresentano quindi una fonte essenziale per finanziare anche progetti infrastrutturali, tecnologici e industriali. Possono assumere diverse forme, dall’investimento diretto in aziende e startup innovative alla partecipazione in fondi di private equity e venture capital, fino alle iniziative di impact investing.
Pensiamo al tema del finanziamento alle infrastrutture, fisiche (strade, ponti, reti energetiche) o digitali (reti di telecomunicazioni, piattaforme tecnologiche), che rappresentano il fondamento per lo sviluppo economico di lungo periodo. La costruzione e la manutenzione di tali infrastrutture richiedono enormi risorse finanziarie che spesso i governi da soli non sono in grado di fornire. Il private banking può giocare un ruolo cruciale nel colmare questo gap, indirizzando i capitali privati verso progetti infrastrutturali attraverso strumenti finanziari strutturati, come fondi infrastrutturali o obbligazioni private. Questi strumenti offrono agli investitori un ritorno sugli investimenti stabile e di lungo termine, mentre allo stesso tempo contribuiscono allo sviluppo economico e sociale.
Investimenti sostenibili e impact investing
Questa è un’altra dimensione che trova un punto di convergenza favorevole nel private banking: l’aumento dell’interesse per gli investimenti sostenibili fa sì che il private banking possa giocare un ruolo chiave nel canalizzare risorse verso progetti che abbiano un impatto positivo sul piano ambientale e sociale.
I clienti del private banking, in particolare, sono sempre più consapevoli dell’importanza di allineare i propri investimenti agli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale. Questa tendenza ha portato a un aumento degli investimenti in progetti e imprese che promuovono pratiche sostenibili, come l’energia rinnovabile, l’innovazione ecologica e lo sviluppo sociale.
Il private banking ha risposto a questa crescente domanda, anche in reazione all’evoluzione del quadro normativo, offrendo prodotti finanziari che consentano agli investitori di sostenere iniziative sostenibili: fondi Esg (Environmental, social and governance) e forme di impact investing sono diventati strumenti sempre più popolari tra gli investitori privati, poiché offrono la possibilità di ottenere ritorni finanziari senza compromettere i principi etici e ambientali. Ciò consente agli investitori di bilanciare i propri obiettivi finanziari con la necessità di contribuire a una crescita economica sostenibile e responsabile.
I private market in numeri: crescita e prospettive
La domanda di investimenti alternativi, la sensibilità crescente per le soluzioni di impact investing e la sete di capitali privati per finanziare l’economia hanno portato a una crescita robusta dei private market: oggi, secondo McKinsey, i private asset valgono circa 13mila miliardi di dollari a livello globale.
Si tratta di un mercato che cresce più rapidamente rispetto a quelli pubblici (EY). E secondo gli analisti di Prequin supererà i 18mila miliardi di dollari entro il 2027.

I fattori che hanno sostenuto la domanda di investimenti privati
Fino a un paio di anni fa, tra i fattori che hanno contribuito a sostenere la domanda d’investimento nei mercati privati, c’è stato uno scenario di tassi strutturalmente bassi. Le performance degli asset illiquidi, infatti, si sono dimostrate attraenti in termini di ritorni corretti per il rischio e gli investimenti nei mercati privati hanno sovraperformato in modo rilevante listini azionari e bond quotati: il private equity globale ha consegnato un ritorno medio annuo del 13,1%, molto superiore al 5,8% realizzato dalle azioni globali quotate.

I falsi miti sui private market
Qui, tuttavia, occorre sfatare alcuni miti.
Gli asset privati sono immuni dai trend più generali?
Per prima cosa, gli asset privati non sono immuni dai trend più generali del mercato: il flusso di capitali verso il private equity e la relativa performance sono altamente ciclici e sono influenzati dalle tendenze macroeconomiche e dalla politica monetaria. Non è un caso se nel corso del 2023, la maggior parte delle performance delle asset class private sia stata inferiore alle medie storiche, per il secondo anno consecutivo. Gli alti tassi di interesse, il costo della leva finanziaria e la carenza di operazioni di fusione e acquisizione hanno reso gli ultimi due anni complessi per molti asset alternativi, proprio mentre i consistenti rialzi dei rendimenti obbligazionari indirizzavano i capitali verso classi di attivo meno rischiose.
I fondi di private equity migliorano la diversificazione di un portafoglio tradizionale?
Un altro mito da sfatare è che i fondi di private equity migliorino la diversificazione di un portafoglio tradizionale e il relativo Sharpe-ratio. Questa affermazione avrebbe senso soltanto se le due forme di investimento fossero confrontabili.
Non è così: il ritorno dell’investimento in azioni e obbligazioni è calcolato in base ai rendimenti ponderati nel tempo (Twrr) delle transazioni effettive giornaliere, mentre i rendimenti dei fondi di private equity sono solitamente espressi dal tasso interno di rendimento (Irr) dei flussi di cassa del fondo o con il Twrr basato però su valutazioni peritali. Queste valutazioni sono però spesso superate, poiché i periti ritardano costantemente la valutazione delle società in portafoglio, specialmente durante le fasi “orso” dei mercati.
Le valutazioni infrequenti delle azioni delle società private sottostimano quindi drasticamente la volatilità effettiva del private equity.
Investire in fondi di private equity permette di migliorare il grado di diversificazione del portafoglio?
Un’altra affermazione ricorrente è quella secondo cui investire in fondi di private equity permetterebbe di migliorare il grado di diversificazione del portafoglio. Anche in questo caso, tuttavia, l’assunto non convince. Blackstone, uno dei maggiori gestori di private equity al mondo, attualmente detiene 123 società in portafoglio, valutate 140 miliardi di dollari; se confrontiamo però questo portafoglio con quello del mercato mondiale, che include oltre 10.000 azioni e vale 65 trilioni di dollari, ci possiamo facilmente rendere conto che i benefici di diversificazione dei fondi di private equity sono irrilevanti e che la loro bassa correlazione con azioni e obbligazioni è illusoria.
Quale spazio per i private market nei portafogli?
Utilizzare quindi i fondamenti della teoria di Markowitz per cercare di trovare nel portafoglio uno spazio per i private market può avere come inevitabile effetto quello di trovarsi con un peso eccessivo dei mercati privati a causa della loro volatilità artificialmente bassa. Non è ancora questo il caso: secondo Aipb, il peso dei mercati privati nei portafogli del private banking è di poco superiore all’1%, a fronte di un’allocazione ideale prossima all’8% nel medio lungo termine, come rileva l’ultimo Outlook Aipb.
