Il “domicilio fiscale” non dipende più da dove si svolgono gli affari, ma dal luogo in cui si sviluppano le relazioni personali e familiari. È questa la più grande novità introdotta dal Decreto Legislativo n. 209/2023, che a partire dal 1° gennaio 2024 ha stravolto le regole della residenza fiscale in Italia. Come si navigano le acque di un sistema fiscale che ora misura la residenza in base alla nostra vita affettiva e ai nostri spostamenti? Lo abbiamo chiesto a Giancarlo Marzo, ceo e founder dello studio legale e tributario Marzo e Associati e alla sua collega Jennifer Fuccella, avvocato partner dello studio legale e tributario Marzo e Associati.
Cosa cambia rispetto al passato? “Con il Decreto Legislativo n. 209/2023, in vigore dal 1° gennaio 2024 – rispondono gli esperti dello studio Marzo e Associati – le regole per determinare la residenza fiscale delle persone fisiche sono state profondamente rinnovate, puntando su un approccio più sostanziale e meno legato a criteri formali. La riforma ha introdotto cambiamenti significativi, primo fra tutti la nuova definizione di domicilio, ora inteso come il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari. Questo spostamento di focus supera il precedente riferimento al codice civile, che legava il domicilio alla sede principale degli affari e interessi, privilegiando invece i legami personali e affettivi”. Ma non è l’unico cambiamento rispetto al passato. Un’altra importante novità è rappresentata dall’introduzione del criterio della presenza fisica. “Ora, una persona può essere considerata residente fiscale in Italia se trascorre almeno 183 giorni, anche non consecutivi, sul territorio nazionale, a prescindere dall’iscrizione anagrafica o dalla configurazione del domicilio. Questo rende il collegamento con l’Italia più tangibile e basato su dati oggettivi”. Anche l’iscrizione anagrafica, pur rimanendo rilevante, ha subito un’importante revisione: non costituisce più una presunzione assoluta di residenza fiscale, ma una presunzione relativa. “Ciò significa che un contribuente iscritto nell’anagrafe della popolazione residente può dimostrare che questa condizione non riflette una reale connessione con l’Italia – dice Fuccella – Questi cambiamenti hanno conseguenze pratiche significative, soprattutto per chi divide la propria vita tra Italia e altri Paesi. La riforma, infatti, mira a garantire una maggiore coerenza con gli standard internazionali e le convenzioni contro le doppie imposizioni, riducendo al contempo il contenzioso legato alla residenza fiscale. Tuttavia, le nuove regole ampliano il campo di valutazione, rendendo necessaria un’attenta analisi dei legami personali e familiari, della presenza fisica e di altri elementi concreti che possano attestare la connessione con il territorio italiano”.
In sostanza, chi è considerato fiscalmente residente in Italia è soggetto al principio della tassazione mondiale, ossia all’obbligo di dichiarare e tassare tutti i redditi ovunque prodotti. Questo, da un lato, rafforza il sistema tributario nazionale, ma dall’altro richiede ai contribuenti con legami internazionali di monitorare con attenzione la loro situazione, per evitare problemi legati alla doppia residenza.
“La riforma rappresenta un passo avanti importante verso l’allineamento della normativa italiana alle prassi internazionali, rendendo il sistema fiscale più trasparente e armonico, pur richiedendo un maggiore impegno sia da parte dell’amministrazione finanziaria che dei contribuenti per valutare caso per caso la residenza fiscale”, precisa Fuccella.
Il recentissimo chiarimento del Fisco, che risale a novembre, illustra gli effetti delle modifiche introdotte in materia di residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti in vigore dal 2024. Quali sono gli elementi più rilevanti di questo documento?
“Il chiarimento del Fisco contenuto nella Circolare n. 20/E del 4 novembre 2024 non si limita a descrivere le modifiche normative introdotte dal Decreto Legislativo n. 209/2023, ma approfondisce in maniera concreta le implicazioni per persone fisiche, società ed enti – risponde Marzo – Le novità principali si possono sintetizzare in una maggiore attenzione alla sostanza rispetto alla forma e in un deciso allineamento con le prassi internazionali”.
Tralasciando le novità riguardanti le persone fisiche, perché già esposte, la Circolare si sofferma anche sulla riformulazione della residenza fiscale delle società, eliminando criteri che in passato generavano incertezza, come l’oggetto principale, e introducendo nozioni più sostanziali. Ora si guarda principalmente a due nuovi criteri. “Ovvero la sede di direzione effettiva, che identifica il luogo in cui si assumono le decisioni strategiche per l’organizzazione; e la sede della gestione ordinaria in via principale, che si concentra sulle attività operative e sulla loro connessione con il territorio italiano”, continua Marzo.
Inoltre, il documento dedica ampio spazio anche ai trust, chiarendo che la presunzione di residenza fiscale per i trust istituiti all’estero è ora relativa. “Ciò consente ai contribuenti di dimostrare, attraverso documentazione adeguata, l’assenza di un collegamento con l’Italia, garantendo una maggiore flessibilità – aggiunge Marzo – Infine, un altro aspetto rilevante è il coordinamento tra la nuova disciplina e i regimi agevolativi per chi trasferisce la residenza in Italia, come il regime dei lavoratori impatriati. La Circolare fornisce indicazioni pratiche su come applicare le nuove regole per verificare i requisiti di accesso a tali benefici”.
Le nuove norme risolvono delle criticità ma lasciano in campo alcuni elementi di incongruenza e/o difficoltà. Quali problemi risolvono? “Uno dei problemi principali risolti – continua Marzo – riguarda il concetto di domicilio. In passato, questo criterio era legato al codice civile, che lo definiva come la “sede principale degli affari e interessi”. Una definizione che generava ambiguità e apriva la strada a frequenti contenziosi. Con la nuova normativa, il domicilio viene reinterpretato in chiave sostanziale: si guarda al luogo in cui la persona sviluppa principalmente le sue relazioni personali e familiari. È un cambio importante, che riduce i margini di discrezionalità e si allinea alle migliori prassi internazionali”.
Anche l’introduzione della presenza fisica come criterio autonomo rappresenta un passo avanti, secondo l’avvocato. “Ora, una persona può essere considerata residente fiscale se trascorre almeno 183 giorni, anche non consecutivi, in Italia. Questo criterio è chiaro e oggettivo, e limita le incertezze legate ad altri elementi più soggettivi. Inoltre, la trasformazione dell’iscrizione anagrafica da presunzione assoluta a presunzione relativa rappresenta un altro miglioramento: chi è iscritto all’anagrafe può dimostrare, con adeguate prove, che non ha legami reali con l’Italia, offrendo una maggiore tutela ai contribuenti realmente non residenti”.
Per quanto riguarda le società, l’eliminazione di criteri obsoleti, come l’oggetto principale, e l’introduzione di nuovi concetti, come la sede di direzione effettiva e la sede della gestione ordinaria in via principale, rappresentano un’evoluzione significativa, secondo l’avvocato perché “questi parametri sono più concreti e si adattano meglio alla realtà operativa delle imprese, riducendo le difficoltà interpretative e i potenziali contenziosi”.
E quali sono invece le aree di difficoltà che restano in campo? “Ad esempio, il nuovo concetto di domicilio, pur essendo più chiaro, può risultare complesso da applicare nei casi di contribuenti con relazioni personali distribuite su più Paesi – risponde Marzo – . Chi, ad esempio, ha famiglia in Italia ma vive e lavora all’estero, potrebbe trovarsi in situazioni non facilmente classificabili, con il rischio di contestazioni. Oppure, situazioni complesse, come famiglie divise tra più Stati o persone senza legami familiari stabili, possono generare incertezze. Ad esempio: una persona che vive con un nuovo coniuge all’estero ma ha figli in Italia potrebbe creare conflitti interpretativi. Anche la gestione delle presunzioni relative richiede attenzione: dimostrare l’assenza di legami con l’Italia non è sempre semplice, soprattutto in assenza di criteri standardizzati per valutare le prove”.
Il criterio della presenza fisica, pur essendo chiaro, potrebbe creare difficoltà in situazioni particolari. Considerare anche le frazioni di giorno, ad esempio, rende il calcolo molto rigoroso e può includere transiti brevi o soggiorni occasionali, creando incertezza per contribuenti e autorità fiscali. Inoltre, occorre sottolineare che la presenza fisica come criterio oggettivo è difficile da monitorare, soprattutto per spostamenti all’interno dell’UE, dove non esistono controlli sistematici alle frontiere.
Anche per le società ci sono sfide aperte. “Sebbene i nuovi criteri siano più coerenti e aderenti alla realtà economica – conclude Marzo – distinguere tra la sede della gestione ordinaria e una stabile organizzazione all’estero potrebbe non essere sempre immediato, soprattutto per le multinazionali con attività distribuite su più Paesi”. In definitiva, questa riforma rappresenta un passo avanti importante verso un sistema fiscale più chiaro e trasparente. Molte criticità sono state affrontate e risolte, ma la complessità dei rapporti internazionali e la necessità di analizzare ogni situazione caso per caso rendono evidente che l’applicazione pratica delle nuove regole richiederà attenzione, soprattutto nei casi più articolati.