Nel corso dell’ultimo decennio il legislatore italiano ha arricchito e consolidato sempre più il catalogo delle agevolazioni fiscali pensate per attrarre capitale umano.
Tra queste vale la pena soffermare l’attenzione sul regime fiscale di vantaggio implementato per favorire il “rientro dei cervelli” in Italia.
Il decreto attuativo della legge delega fiscale prevede, infatti, tra le altre cose, delle modifiche al regime agevolativo sugli impatriati, il quale comporta delle misure di vantaggio fiscale per i soggetti che trasferiscono la loro residenza nel territorio dello Stato.
A tal riguardo, per fare il punto sulla questione, individuare le novità e le differenze tra il precedente e nuovo regime, We Wealth ha intervistato Filippo Molinari, dottore commercialista, partner nel team Private Client & Tax dello studio Withers con consolidata esperienza su tematiche tributarie connesse alle persone fisiche, alle riorganizzazioni familiari nonché alla fiscalità delle personalità dello sport e spettacolo.
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Nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati: quali sono le novità?
La nuova versione del regime impatriati, in attesa di eventuali modifiche, prevede che:
(i) i redditi imponibili siano detassati nella misura del 50%, entro un limite massimo di Euro 600.000;
(ii) i redditi oggetto dell’agevolazione siano quelli di lavoro dipendente o assimilato e di lavoro autonomo;
(iii) possano fruire dell’agevolazione i lavoratori che:
o trasferiscono in Italia la residenza fiscale,
o non abbiano avuto la residenza fiscale italiana nei tre periodi di imposta precedenti alla relocation,
o prestino la propria attività lavorativa per la maggior parte del periodo di imposta in Italia,
o si impegnino a risiedere in Italia per almeno cinque anni,
o siano in possesso di determinati requisiti professionalizzanti,
o instaurino un nuovo rapporto di lavoro con soggetti diversi da quello con cui erano impiegati all’estero nonché da quelli appartenenti allo stesso gruppo.
L’agevolazione sarà valida per coloro che avranno trasferito la residenza fiscale a partire dal periodo di imposta 2024.
Quali differenze rispetto al precedente regime? Quali criticità sono ravvisabili nella “nuova versione”?
Lo schema di decreto legislativo attualmente pubblicato riduce notevolmente la portata applicativa del regime in oggetto. Oltre al ridimensionamento della misura agevolativa (dal 70% al 50%), spariscono la possibilità dell’estensione per un ulteriore quinquennio e la “super agevolazione” per il Sud Italia. Viene inserito, inoltre, un limite quantitativo di redditi agevolabili di 600mila euro e i periodi di imposta di “non residenza” precedenti richiesti passano da due a tre. Il commitment di residenza si estende poi da due periodi di imposta a cinque. Inoltre, si ritorna al passato sul possesso di requisiti professionalizzanti, che innescherà una serie di problematiche interpretative già vissute con il regime ante 2019. Ulteriore tematica di rilevante importanza e nettamente penalizzante è quella dell’obbligo di stipula di un nuovo rapporto contrattuale contestualmente alla relocation e del divieto di trasferimento all’interno dello stesso gruppo: appare chiaro che questi aspetti, oltre a riprendere più o meno datate (e superate) posizioni interpretative dell’Agenzia delle Entrate ridimensioneranno in modo rilevante l’interesse dei grandi gruppi multinazionali per la norma.
Sul fronte delle incertezze sarebbe gradita una conferma sul fatto che il limite quantitativo dei 600mila euro si riferisca a una singola annualità e che il superamento di questa soglia comporti l’applicazione del regime ordinario sui redditi superiori e non la decadenza dal regime.
Mentre è pacifico che chi già sta beneficiando del regime nella versione in vigore possa continuare a farlo, più spinosa è la questione per chi oggi è già residente in Italia da un punto di vista anagrafico ma non da quello fiscale (i.e. chi si è trasferito nella seconda metà del 2023): l’attuale versione della norma, infatti, precluderebbe a questi soggetti l’accesso al regime attuale (più favorevole). Il Governo, seppur informalmente, sembrerebbe aver aperto uno spiraglio a una modifica che, tuttavia, ad oggi, non è ancora avvenuta.
Il contribuente che rientra in Italia per svolgere un’attività di lavoro autonomo beneficiando del regime forfetario potrà avvalersi del regime previsto per i lavoratori impatriati?
La normativa nulla prevede espressamente sul punto. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito in passato, con la Circolare n. 33/2020 e la Risposta n. 460/2022, che chi ha goduto del regime forfettario al momento del trasferimento in Italia non potrà successivamente fruire del regime agevolativo degli impatriati. Di conseguenza, non è possibile optare a posteriori per il regime.
Un soggetto che dall’Italia, in smart working, presta servizio per una società estera, può beneficiare del regime previsto per i lavoratori impatriati?
Questo rappresenta un tema di interesse sempre più crescente, a maggior ragione dopo l’esperienza del Covid-19 che ha comportato l’accelerazione dello sfruttamento dei mezzi tecnologici per lo svolgimento del proprio lavoro in remoto. Con la Circolare n. 33/2020 l’Agenzia delle Entrate ha confermato che un lavoratore può beneficiare del regime di favore anche con datore di lavoro estero. Tuttavia, in tal caso, non si esclude – come precisato dalla stessa Agenzia – che possano ravvisarsi le condizioni di esistenza di una stabile organizzazione in Italia del datore di lavoro estero. Di conseguenza, tale aspetto deve essere verificato con particolare dovizia a livello societario. Inoltre, con specifico riferimento al “nuovo regime”, si segnala che con il trasferimento in Italia non si potrà beneficiare della norma agevolativa con il semplice trasferimento in Italia ma dovrà essere modificato contestualmente anche il datore di lavoro estero tenuto conto che è condizione necessaria per accedere al regime l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro rispetto a quello intrattenuto prima del trasferimento.
Gli sportivi professionisti rientrano in questo regime agevolativo? Quali prospettive si profilano per questa categoria, alla luce delle ultime modifiche?
La versione attuale dello schema di decreto legislativo pare considerare non più applicabili le norme vigenti “speciali” riferibili agli sportivi professionisti. Tuttavia, nell’ultima versione nel Comunicato del Consiglio dei Ministri n. 54 del 16 ottobre 2023 è stato precisato che rimarrebbero “invariate le disposizioni per i ricercatori, professori universitari e lavoratori dello sport già previste”. Ovviamente, se questa precisazione fosse confermata, sarebbe da accogliere con favore. Al contrario, se la norma dovesse rimanere come quella da ultimo pubblicata il mondo dello sport professionistico subirebbe un contraccolpo decisamente inaspettato e penalizzante, stante l’impossibilità di garantire agli sportivi delle offerte economicamente vantaggiose se paragonate a campionati esteri più prestigiosi (si pensi, per esempio, con riferimento al calcio, alla Premier League). Inoltre, non si comprenderebbe la ratio sottostante a tale decisione, tenuto conto che il regime aveva subito già nel 2022 delle limitazioni per ridimensionarne la portata applicativa e frenarne l’utilizzo massivo a discapito dei settori giovanili.