Le polemiche sull’autonomia differenziata hanno rinverdito la ‘questione meridionale’, aggiungendovi un filo di ‘questione settentrionale’. Ma queste polemiche, di solito usate per criticare (giustamente) una legge ‘spacca-Italia’, dimenticano un punto fondamentale. E cioè che il Mezzogiorno non è più quello di prima: gli imperativi geopolitici dall’esterno e nuove sorgenti di ‘acqua viva’ all’interno hanno dato al nostro Sud una centralità che molti fanno ancora fatica a vedere. Una centralità che dobbiamo esplorare e custodire, se vogliamo che quel vecchio doppio dualismo – l’Italia palla al piede dell’Europa e il Mezzogiorno palla al piede dell’Italia – si trasformi in un’Italia che trascina l’Europa e in un Mezzogiorno che trascina l’Italia.
Le origini della questione meridionale
La ‘questione meridionale’ data dall’Unità d’Italia, e così la descrisse, a fine Ottocento, un grande meridionalista, Giustino Fortunato: “Che esista una questione meridionale, nel significato economico e politico della parola, nessuno più mette in dubbio. C’è fra il nord e il sud della penisola una grande sproporzione nel campo delle attività umane, nella intensità della vita collettiva, nella misura e nel genere della produzione…” (‘Carteggio 1927-1932, Laterza 1981). E a questa si aggiunge oggi, con le diatribe in Parlamento sulle rivendicazioni di Lombardia, Veneto e & C., una “questione settentrionale”. “Finis Langobardiae”: un articolo di Cesare Correnti su “La Perseveranza” del gennaio 1860 è forse la prima testimonianza di quella ‘questione settentrionale’ che è tornata ad agitare le acque della politica italiana, fino a far riemergere quel concetto melmoso che – scrive Alfredo Canavero – vede “un Settentrione attivo, progredito ed operoso contrapposto a Roma capitale e ad un Meridione parassitario, arretrato e indolente”.
Perché il nord corre di più?
Quali sono state le ragioni del dualismo? E come è cambiata oggi la polarità Nord-Sud? Cominciamo dalle ‘ragioni’: “Seguite i soldi”, dicono gli investigatori anti-mafia, per scoprire la trama e l’ordito delle influenze mafiose sull’economia e sulla società. E quel consiglio è anche utile per scoprire le ragioni del divario Nord-Sud. Sono tante, ma è indubbio che una – se non la principale – sta nei soldi. Già, più di un secolo fa, Giustino Fortunato (in una lettera a Pasquale Villari – vedi “Carteggio 1865-1911”, Laterza, 1978), scriveva: “… è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonda i suoi beneficii finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali”. Da allora le cose non sono cambiate: che lo Stato italiano ‘profonda’ i suoi benefici finanziari in modo sperequato era stato già confermato nel 2020 da un Rapporto dell’Eurispes: “Nel periodo che va dal 1971 (da quando i dati sono disponibili) al 2017, lo Stato italiano ha investito in media per abitante, molto più al centro-nord che al sud, rendendo non solo incolmabile il divario, ma anzi, accentuandolo…”.
Questo inatteso e sgradito ritorno della ‘questione settentrionale’ deve molto alla manna dal cielo che è arrivata nella Penisola con il ‘Next Generation EU’ (noto come Pnrr). Le centinaia di miliardi di euro che sottendono il Ngeu attizzano, come è naturale, robusti appetiti. Con un crescendo degno di tanta causa, esponenti di spicco delle istituzioni – dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel al neo-governatore di Bankitalia Fabio Panetta – esortano a dedicare più risorse al Sud d’Italia, ad approfittare di questa occasione unica per fare quel che seppe fare la Cassa per il Mezzogiorno nei suoi (pochi) anni migliori, quando, raccontano le cifre dei conti territoriali, il Mezzogiorno seppe accorciare il secolare ritardo rispetto al resto del Paese. Ma non si tratta solo di una questione di equità. Si tratta anche, e principalmente, di una questione di crescita. Il Mezzogiorno è un giacimento di sviluppo potenziale per un Paese che fino a poco fa faceva fatica a crescere. E l’Italia si svilupperà solo se il Mezzogiorno volge a essere un motore.