I fondi di private equity si sono dovuti adattare all’aumento dei tassi d’interesse, diventando molto più selettivi sulle imprese nelle quali investire e limitando le uscite (exit), ossia le occasioni di vendita che, nelle nuove condizioni di mercato, rischiano di portare risultati inferiori alle attese.
Il 2023 è stato l’anno peggiore dalla grande crisi per il settore e a testimoniarlo sono, soprattutto, due numeri. Il valore dei buyout, le operazioni con cui i fondi acquistano quote di controllo nelle aziende, è sceso a 438 miliardi di dollari nel 2023, cumulando un calo del 60% rispetto al picco del 2021. In parallelo, la potenza di fuoco (o dry powder) a disposizione dei fondi, il denaro che mantengono fermo in attesa delle giuste occasioni di investimento, è arrivato alla cifra record di 3.900 miliardi di dollari. Oltre un quarto di questa enorme massa di denaro che i fondi attendono di utilizzare è ferma da almeno quattro anni.
E’ un’attesa che produce un certo “nervosismo fra i general partner” dei fondi, ha raccontato Roberto Fiorello, senior partner di Bain & Co, che lunedì 11 marzo ha presentato il nuovo Report annuale sul Private Equity globale.
A completare il quadro, c’è stato un ulteriore calo delle exit, con una contrazione del 66% rispetto al picco del 2021 a 345 miliardi di dollari.
La paralisi delle “exit”
Di fatto, “metà del portafoglio del private equity”, pari circa a 28mila società per un valore di 3.200 miliardi, “è costituito da asset non realizzati da almeno quattro anni, che non si riesce a vendere nelle condizioni desiderate”, ha spiegato Fiorello, per il quale la grossa fetta di queste difficoltà è stata colpita dall’aumento dei tassi.
Sulle imprese, in particolare quelle che avevano contratto relativamente molto debito alle condizioni favorevoli antecedenti alla stretta monetaria del 2022, pesa l’onere di rifinanziamenti al momento più onerosi: questo inevitabilmente si ripercuote sulla redditività e la valutazione dell’impresa. E’ un fattore macroeconomico che non rappresenta una ragione di preoccupazione a lungo termine per il settore, secondo Bain & Co, che ha sottolineato come stiano prendendo sempre più piede soluzioni in grado di sbloccare parte del valore in portafoglio.
La crescita delle operazioni “secondarie”
La società di consulenza, infatti, ha rilevato una notevole crescita dei fondi secondari, che nel 2023 hanno acquistato asset di private equity per 120 miliardi offrendo loro un’opportunità di realizzo rapido – anche se a fronte di uno sconto. “Queste operazioni consentono di tornare in fundraising con maggiore solidità perché si è riusciti a fare un’exit, ancorché non perfetta; inoltre, con tassi così alti, la messa a valore delle cifre liberate riporta in pari dopo un po’ di tempo”, ha dichiarato Fiorello.
L’espansione dei fondi secondari, secondo la società di consulenza, proseguirà anche nei prossimi anni alla luce della posizione difficile cui si è arrivati nel 2023 e che migliorerà solo gradualmente. Ad acquistare asset dai fondi di private equity con queste modalità sono e saranno grandi investitori istituzionali, come i fondi sovrani, che possono permettersi di esporre il portafoglio per un orizzonte superiore ai cinque anni, acquistando imprese di qualità. Possibili acquirenti, inoltre, potrebbero essere anche le grandi case di investimento, che gestiscono ricchezze significative raccolte anche dagli individui altamente patrimonializzati a caccia di elevati rendimenti a lungo termine.
Il confronto sui rendimenti: una questione di orizzonte
Nonostante le difficoltà del private equity nell’ultimo biennio, la sensazione è che nel 2024 dovrebbe avviarsi la ripresa del dealmaking, come storicamente è sempre accaduto dopo le fasi di frenata comparabili a quelle degli scorsi anni. “Il mercato sta registrando un inizio leggermente migliore quest’anno, e siamo cauti ottimisti sulle sue prospettive per il 2024. La scala e la rapidità dei rialzi dei tassi dell’anno scorso, e l’incertezza del contesto macroeconomico, hanno rappresentato uno shock per il settore nel 2023”, ha affermato Fiorello, “tuttavia, le prospettive a lungo termine per l’industria rimangono solide, e – con i tassi destinati a ricalibrarsi nei prossimi mesi – c’è un maggiore contesto di stabilità”.
Il confronto di orizzonte medio e lungo, secondo i dati aggiornati nel report, continua a sostenere il fatto che il private equity generi ritorni superiori a quelli dei mercati quotati, con bilancio particolarmente favorevole per l’Europa occidentale. Continuerà a essere così anche in futuro, nonostante una nuova fase di tassi d’interesse strutturalmente più elevati rispetto alla fase post-2008? La sensazione, espressa a margine dell’incontro con la stampa, è che il premio del private equity continuerà anche in futuro. L’esperienza del 2023, tuttavia, potrà dimostrare che non esiste nessuna industria immune agli alti e bassi dell’economia.