Il private credit si conferma una delle asset class più promettenti per gli investitori, nel 2025. Secondo Moody’s, questo mercato ha raggiunto un valore globale di circa 1.500 miliardi di dollari, con una previsione che ne vede il raddoppio entro il 2028.
Ma qual è il ruolo strategico di questo segmento in portafoglio? E quali sono le opportunità che offre in un contesto di mercato incerto e alla luce della crescente democratizzazione dell’accesso per la clientela privata?
Che cos’è il private credit?
Chiara Calì, head of group funds & portfolio management di UniCredit, ha definito il credito come “una forma di finanziamento alternativa alle imprese, che si concretizza spesso nel direct lending: un finanziamento diretto – tipicamente senior secured – erogato da istituzioni diverse dalle banche tradizionali, perlopiù asset managers o fondi”.
Si tratta di strumenti non quotati, caratterizzati da una liquidità limitata ma da rendimenti storicamente superiori a quelli delle obbligazioni tradizionali. Mostrano una volatilità inferiore e questo li rende un’opzione interessante per investitori che cercano di diversificare e di stabilizzare i propri portafogli.
Contrariamente al passato, il private credit non è più un’esclusiva degli investitori istituzionali. Sta, infatti, iniziando a entrare nei portafogli della clientela privata grazie a iniziative mirate di formazione e selezione di prodotti. E grazie anche alla sua capacità di agire da stabilizzatore di portafoglio, specie in contesti di mercato turbolenti, come sottolineato da Andrea Orsi, country head Italy, Ireland & Greece di M&G Investments.
“Negli ultimi anni abbiamo assistito a un crescente interesse anche da parte della clientela wealth. Per questo abbiamo adottato un duplice approccio: selezionare asset manager con esperienza consolidata e puntare sull’education della rete di consulenti, per far sì che possano proporre queste soluzioni anche a clienti meno esperti”, ha proseguito Calì. Il risultato? Una maggiore accessibilità, favorita anche dalla normativa che permette di ampliare il target di investitori, portando la “democratizzazione dei tassi” – come la definisce Orsi – a un livello più ampio, con prodotti studiati per la clientela retail e affluent.
Eltif 2.0: un “first step” nel credito privato
A conferma della spinta verso l’accesso all’investimento privato nel credito, M&G ha lanciato a fine 2023 un Eltif 2.0, un prodotto costruito per offrire agli investitori privati un portafoglio diversificato con un rendimento obiettivo del 7,5%. E adatto anche a essere una prima modalità di accesso a questo mercato.
Si tratta di un fondo “solido”, ha sottolineato Orsi, “che parte da una dimensione significativa di 800 milioni di euro e nasce utilizzando il bilancio assicurativo di M&G. Questo aspetto garantisce qualità e stabilità, insieme a una composizione che prevede l’80% di loans europei e il 20% di direct lending“. Ma oltre al potenziale di rendimento, l’Eltif 2.0 offre distribuzioni cedolari apprezzate – in particolare – dal mercato italiano, rendendo più accessibile un asset tradizionalmente riservato a grandi investitori.
Oltre a questo, a inizio 2025, M&G ha dato vita al M&G Credit Academy, un’iniziativa nata con l’obiettivo di mettere a disposizione dei distributori tutte le proprie competenze in materia. Non solo dal punto di vista della ricerca e degli investimenti, ma anche a livello consulenziale: per comunicare ai Ceo e Cfo delle reti che un’adeguata preparazione del consulente è un fattore critico di successo nella relazione con il cliente.
Rischi e gestione: l’importanza della formazione e della selezione
Non mancano però rischi associati a questa asset class, che devono essere ben compresi e gestiti. “Il rischio di credito è più elevato rispetto alle asset class tradizionali, perché offriamo un extra rendimento proporzionale al maggior rischio assunto,” spiega Orsi. A questo si aggiunge il rischio di liquidità, poiché si tratta di strumenti meno quotati e con orizzonti temporali medi o lunghi.
Anche per questo motivo, sottolinea Chiara Calì, “è fondamentale collaborare strettamente con asset manager di comprovata esperienza, capaci non solo di selezionare accuratamente i deal ma anche di dire no a quelli non idonei.” Inoltre, la formazione continua della rete di consulenti è imprescindibile per garantire che la proposta sia sempre coerente con il profilo di rischio, l’orizzonte temporale e le esigenze di liquidità del cliente.
Prospettive per il futuro del private credit
Ma come sarà il futuro di questa asset class? Piuttosto florido, a giudicare dalle previsioni. Come confermato anche da Orsi, “stiamo assistendo a un’evoluzione del portafoglio classico 60/40, che lascia spazio a modelli come il 50/30/20, dove il 20% è dedicato a strumenti alternativi come i private markets.” Una strategia che risponde bene anche alla sfida di aiutare gli investitori a superare i bias comportamentali che spesso emergono in fasi di mercato turbolente, grazie a prodotti coerenti con l’orizzonte temporale di medio-lungo periodo.