L’offerta delle polizze vita è chiamata a una svolta: prodotti più semplici da comprendere, disegnati su un target di clientela definito e con una chiara proposizione di valore assicurativo. Un obiettivo che, almeno sulla carta, trova il consenso sia delle compagnie che delle reti distributive. Ma nelle declinazioni concrete, questi due mondi — assicurativo e distributivo — rischiano di trovarsi su traiettorie divergenti.
Il richiamo al cambiamento non è partito dall’interno, ma è arrivato dall’alto: con la Lettera al mercato dell’IVASS del 27 marzo 2024, il regolatore chiede al settore di attuare pienamente la normativa POG (Product Oversight and Governance), pilastro europeo per assicurare la coerenza tra prodotto, cliente e valore.
La discussione su come tradurre operativamente queste indicazioni, senza sacrificare né l’efficacia commerciale né la natura assicurativa dei prodotti vita da investimento, si è accesa all’Insurance Forum 2025, evento annuale di IKN. Un confronto franco tra manager che ha evidenziato una consapevolezza condivisa: le polizze vita che offrono poco o nulla di assicurativo e che si pongono in diretta concorrenza con i fondi comuni non potranno avere lunga vita. L’IVASS spinge per riportare valore assicurativo concreto nei prodotti. Ma resta il dubbio che le reti — soprattutto quelle bancarie — riescano ad abbracciare davvero questo cambio di paradigma, accettando di vendere strumenti meno facilmente assimilabili alla classica pianificazione finanziaria.
“Siamo rimasti schiacciati dal tentativo di livellare il campo di gioco”, fra prodotti finanziari e assicurativi dice un manager insurance di un importante gruppo finanziario, “questo in realtà ci ha resi simili a tutti gli altri e non possiamo confrontarci sul rendimento puro”. Gli fa eco un altro insider del settore: “Abbiamo rincorso troppo i prodotti finanziari puri. È più semplice, ma così perdiamo la nostra identità assicurativa”.
La strutturazione assicurativa è invariabilmente più onerosa di una puramente finanziaria e, per il settore, la via d’uscita consiste in due principali interventi. Reinserire coperture assicurative come una temporanea caso morte o una long-term care all’interno di contratti assicurativi vita pensati per proteggere il patrimonio – in modo da avere uno scopo misto di valorizzazione del patrimonio e di protezione da eventi negativi. Al punto da evocare, come provocazione dirompente per rivitalizzare le polizze vita, l’idea di rendere obbligatoria la polizza long term care – un’idea che dal punto di vista pubblico dovrebbe ridurre gli oneri sulla sanità (oltre che promuovere la vendita di questa copertura nei pacchetti assicurativi vita-investimento).
Polizze vita: i consulenti le vogliono davvero più “assicurative”?
Il problema delle coperture propriamente assicurative è che, in molti casi, la rete di consulenza preferisce giocare sul sicuro: su prodotti che conosce bene, più facili da capire e da spiegare e su cui si rischia meno di incrinare il rapporto con la clientela (in caso di sinistri assicurativi non gestiti come da aspettative).
Eppure della rete, l’assicurazione ha bisogno perché, tolte le Rc Auto, l’assicurazione si vende sulla spinta dell’offerta, in quanto risponde a bisogni che spesso la clientela potenziale non conosce (o non sa che possono avere una soluzione assicurativa). Il passaggio dalla vendita presso il canale delle agenzie a quello bancario, sempre più centrale per questo mondo, pone al centro l’obiettivo di una formazione assicurativa per la consulenza finanziaria, dice Enrico Scandurra di Epiro, direttore commerciale di Bcc Vita, ma aggiunge: “la cultura assicurativa non la fa nessuno” e “la responsabilità è nostra, delle compagnie: dobbiamo prenderci carico della formazione delle reti prima ancora di quella dei clienti. Se il distributore non sa spiegare le valenze assicurative, il cliente penserà solo al rendimento del prodotto”. E “più il prodotto è complesso, più formazione serve. Abbiamo bisogno di strumenti di supporto alla consulenza, non solo di nuovi prodotti”.
Sfoltire i prodotti nati per accontentare le reti
In questa cornice, una delle tendenze che si profila all’orizzonte, anche come risposta operativa all’attuazione delle linee guida IVASS, consisterà in una riduzione del numero dei prodotti, molti dei quali creati per venire incontro all’esigenza delle reti distributive – periodicamente alla ricerca di nuove polizze per proporre nuove narrazioni agli stessi clienti. Attorno al tavolo di lavoro c’è chi si spinge a dire che “le reti sono drogate di nuovi prodotti e ne chiedono continuamente di nuovi. Ma spesso si tratta di prodotti solo apparentemente nuovi, che assomigliano molto a quelli appena chiusi”.
Insomma, da qui in avanti, “la razionalizzazione della gamma di prodotti assicurativi vita sarà necessaria, perché è inutile avere molte polizze uguali”, afferma Maria Teresa Nicolini – Head of Compliance & AML di Assimoco. Non necessariamente, però, questo coinciderà con più difficoltà di vendita, aggiunge: “Paradossalmente, la normativa POG, se ben applicata, può persino aiutarci a vendere di più. Se davvero usiamo i dati dei distributori per conoscere meglio i clienti, possiamo sviluppare prodotti che rispondano davvero alle loro esigenze”.
Anche qui, però, si intravede una tensione latente con il mondo della distribuzione, di norma geloso nel condividere le informazioni sui profili di clientela, mettendo spesso la compagnia assicurativa nella condizione di creare qualcosa di nuovo senza sapere “se venderà, perché non ha accesso ai dati della clientela reale”.
Secondo Simona Beduschi, Responsabile Gestione Operativa di Helvetia Vita, la riduzione del numero dei ‘doppioni’ non solo renderà più semplice la selezione dei prodotti, ma incrementerà anche le possibilità di offrire un concreto value for money — soddisfacendo così le attese dell’IVASS e della regolazione europea. Se ne faciliterà anche la vendita, è un po’ meno chiaro.
E sul tema dei costi, al centro dei confronti su cui si misura il value for money, Scandurra di Epiro sottolinea: “La scatola assicurativa, per sua natura, ha costi maggiori rispetto a un fondo stand-alone o a un prodotto puramente finanziario. Ed è proprio per questo che il servizio collegato a quell’involucro deve essere valorizzato. Se il cliente si limita a vedere una multiramo come un contenitore flessibile, senza coglierne il senso protettivo, rischiamo di perdere l’identità del nostro mestiere. Dobbiamo partire dal bisogno del cliente, e quel bisogno emerge solo se il consulente sa porre le domande giuste”.