Elegante e raffinato, colto e ironico, ma soprattutto fieramente siciliano o “etneo” come amava specificare. Pino Pinelli, tra i protagonisti della pittura italiana della seconda metà del ‘900 e tra i principali esponenti della Pittura Analitica, ci lascia all’età di 85 anni nella sua Milano.
“Le opere di Pinelli sono corpi inquieti di pittura in cammino nello spazio, fluttuanti e migranti in piccole o grandi formazioni, fatte di materiali che recano impressi i segni di un’ansiosa duttilità, e che esaltano la fisicità tattile e la felicità visiva di un colore pulsante di vibrazioni luminose”, queste le parole scelte dall’Archivio del Maestro – istituito per raccogliere la documentazione sulla sua attività e promuoverne la ricerca, durata oltre 50 anni – per ricordarne l’Opera.
Pino Pinelli, i primi anni tra la Sicilia e Milano
Nato a Catania il 1° ottobre del 1938, Pinelli svolge la sua formazione artistica in Sicilia dove ottiene i primi riconoscimenti. Amava molto “Masaccio, per la sua capacità di fare sentire il pensiero dei personaggi; Piero della Francesca, per la luce e la solidità di quei volti atarassici; Caravaggio, per la luce cinematografica nel suo personalissimo taglio; Matisse, per la meravigliosa pasta cromatica che detta le regole della pittura; Mondrian, che esprime il ritmo del fare; Fontana, che apre il sipario verso un nuovo mondo del visibile e per la sua rivoluzione dello spazio. Sono questi gli artisti a cui ho guardato e della cui lezione ho cercato di nutrirmi”, mi confessò in una intervista del 2020.
Terminati gli studi si trasferisce a Milano, entrando in contatto con un ambiente culturale vivace e dinamico, animato da alcuni giovani artisti, oggi considerati “mostri sacri” dell’arte del XX secolo italiano. Tra questi, Fontana, Manzoni, Castellani, Bonalumi, Dadamaino, Colombo e Simeti.
Un ritratto di Pino Pinelli
Le prime mostre e le serie delle Topologie e dei Monocromi
A 30 anni organizza la sua prima mostra personale presso la Galleria Bergamini, a cui segue – negli anni ’70 – un periodo di fermenti sperimentazioni e ricerche attraverso cui Pinelli approfondisce il lavoro sulla superficie pittorica e sulle sue vibrazioni fino a giungere, attraverso il principio della sottrazione, a lavori realizzati apparentemente con una sola tonalità. Nascono così le serie delle “Topologie” e dei “Monocromi”, opere che sembrano avere un unico colore, ma che in realtà ne contengono oltre otto diverse sfumature. Queste opere sono attraversate da una sottile vena di inquietudine, di cui egli stesso ha parlato in diverse occasioni.
“Nel triennio 1973-1975 la mia ricerca artistica era concentrata sul monocromo. Dipingevo grandi tele rosse, gialle, blu, su cui, con l’aerografo, stendevo una serie di velature per ottenere una sorta di ‘respiro della superficie’ – sosteneva al riguardo. – Tuttavia, non ero completamente appagato, perché da tanto tempo sia in Europa sia in America, molti artisti indagavano sulla tematica del monocromo, ma io aspiravo ad andare oltre. È naturale che un giovane artista tenti di individuare un percorso autonomo, di staccarsi da chi si è già inoltrato sul sentiero comune; ma ciò non è semplice, per cui le crisi, le ansie, le tensioni diventano una costante.”
Pino Pinelli in mostra alle Gallerie d’Italia di Milano
Pino Pinelli e la pittura analitica
Ed è forse proprio una frase di Pinelli a restituirci più di qualsiasi definizione l’essenza della Pittura Analitica, movimento nato in Italia come reazione al Concettuale che considerava l’atto del dipingere una modalità di esprimersi ormai antiquata e sorpassata. Al contrario, nella consapevolezza che la pittura sia ancora uno strumento valido, chi adotta la metodologia analitica dedica la sua indagine all’approfondimento di tutti gli elementi che servono per dipingere al fine di dimostrare che essa non è morta con l’apparire di nuove forme d’arte, né deve rappresentare necessariamente qualcosa per trovare una legittimazione. Dunque, il pittore catanese parlava a ragione di uno “stato ansioso della pittura”, teso a “far venir fuori lo spazio della pittura.”
Seguendo le orme dei pionieri Aricò e Nigro, Pino Pinelli e gli altri analitici – che, pur condividendo idee ed esperienze, non formarono mai un vero e proprio gruppo, né si dotarono di un manifesto programmatico – studiano il rapporto tra l’autore e l’opera, analizzato nelle sue componenti fisiche: l’oggetto quadro diventa un campo di forze capace di catalizzare ogni materia, trasfigurandola in un elemento estetico dal portato rivoluzionario. In un certo senso, quindi, si cerca di rappresentare l’essenza della pittura, il suo stato più assoluto, ed è per questo che tale indagine viene definita spesso anche “pittura-pittura” o “pittura pura”.
Pino Pinelli, 2 Pittura GR (1976), quadrato tagliato
Dai materiali alla pittura GR
Già dal 1974-75 l’artista inizia a riflettere sui materiali, usando – al posto della classica tela – la flanella bianca, non preparata. “Cercavo di stimolare il desiderio seduttivo di accarezzare la pittura, quasi fosse una pelle, e, quindi, di coinvolgere il senso del tatto che era stato sempre una prerogativa della scultura: dei suoi marmi, bronzi… mentre la pittura si era sempre consegnata agli occhi e alla mente.” Pino Pinelli introduce così l’elemento tattile, cifra distintiva della sua produzione successiva. Se la vista è un senso totalmente presente nella fruizione dell’opera d’arte, Pinelli coinvolge l’osservatore anche su altri livelli: le sue opere invitano a toccare, sentire, fruire da vicino ciò che si guarda.
Ma la vera svolta intuitiva, l’atto più rivoluzionario che ancora oggi rende i suoi lavori riconoscibili in tutto il mondo, avviene nel 1976 con la cosiddetta “Pittura GR”, quando decide di “rompere” il concetto stesso di quadro, uscendo dalla cornice e rendendo la parete parte integrante delle sue opere. “Dal ‘quadro tagliato’ nasce la disseminazione, quasi mimando il gesto del seminatore i frammenti di pittura vengono collocati sul muro in una vera esplosione di forme e colori.”
All’inizio tali “disseminazioni” erano costituite da pochi pezzi ma, con il passare degli anni, gli elementi si moltiplicano, talvolta in modo consistente, assumendo forme geometriche diverse. Scaglie ovali, tonde, rettangolari o circolari – con margini slabbrati e una superficie che permette di osservare il solco delle dita impresso sulla materia –, fluttuano e migrano in grandi o piccole composizioni, veri e propri “corpi di pittura in cammino nello spazio”. Non a caso, Pinelli amava ripetere che la sua era una “pittura con corpo”, un corpo assemblato con estremo rigore e cura sulle pareti bianche di musei e gallerie, dove nulla è lasciato al caso. Seguendo precisi schemi nel rispetto di armonie calcolate, le sue monocrome sculture aprono all’immaginazione.
Dal 1994 fino alle ultime creazioni, Pinelli abbandona gradualmente le forme dai contorni slabbrati, tornando a quella regolarità che aveva abbandonato all’inizio del percorso. “Al presente – diceva – la croce ha assunto una funzione chiave perché sono proprio le croci a permettere le grandi disseminazioni, che esprimono più propriamente il mio modo di fare pittura.”
Pino Pinelli, Pittura Grigia (1975)
Pino Pinelli, dalla lunga carriera ai risultati d’asta
Oltre a numerose mostre collettive, l’artista ha esposto in oltre 100 personali in musei e istituzioni in Italia come all’estero, tra cui la monografica al Multimedia Art Museum di Mosca (2016), le antologiche al Marca di Catanzaro (2017) e presso Palazzo Reale e Gallerie d’Italia a Milano (2018). Le sue opere trovano casa in molte collezioni permanenti: le già citate Gallerie d’Italia e il Museo del Novecento di Milano, il Centre Pompidou di Parigi, la Collection CMR di Monaco, la Fondazione Pablo Atchugarry in Uruguay, la Margulies Foundation di Miami, solo per citarne alcune.
Ma con l’instancabile frenesia e animo carismatico che lo caratterizzava, il Maestro delle Disseminazioni ci ha lasciato proprio mentre stava curando i suoi prossimi progetti espositivi, entrambi a Milano; uno presso la Galleria Invernizzi (inaugurazione 21 maggio) e l’altro da Dep Art Gallery (settembre).
Per lo più desiderato da un collezionismo nazionale (60%), le opere di Pino Pinelli fanno breccia nei cuori anche di acquirenti austriaci, tedeschi e francesi. Migliore performance in asta, in termini di fatturato e di numero di transazioni, è stata nel 2015 con la vendita di ben 87 lotti che hanno raccolto quasi €435.000, sebbene registra il suo record personale due anni più tardi con il trittico Pittura Grigia (1975), aggiudicata a 50mila euro. Con un andamento di mercato i leggera crescita rispetto al 2022, chiude l’anno appena trascorso con un valore complessivo di quasi 85mila (42 lotti).
Quella di Pino Pinelli è stata in tutto e per tutto un’esistenza dedita all’Arte, la vita di chi si è sempre accostato alla disciplina con la volontà di sperimentare, di andare oltre, di agire in maniera sensibile al suo “richiamo irresistibile”. Per concludere, vogliamo così ricordarlo ancora con alcune delle sue parole più belle: “Da sempre sono stato molto attratto dalla fantasmagoria dei colori sulla tavolozza […]. Ho ‘giocato’ la mia vita, correndo dei rischi, cercando instancabilmente e continuamente di cogliere il mistero della luce che è l’elemento principe della pittura. L’arte è seduzione e fascinazione. È invito alla dimensione estetica dello sguardo e alla vertigine tattile del senso […]. Accostarsi all’arte è stato per me naturale come respirare.”
Pino Pinelli a Palazzo Reale, courtesy Palazzo Reale
L’autrice desidera ringraziare Ester Candido, Junior Art Consultant di Pavesio e Associati with Negri-Clementi, per il prezioso supporto documentale.